Cass., sez. VI civ. – T, 1° luglio 2015 (ord.), n. 13542 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CICALA Mario – rel. Presidente –
Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 12955-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
I.M., in qualità di socio accomandatario della fallita PVA SAS di Identi Marco e C, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GREZ GIAN MARCO, rappresentato e difeso dagli avvocati COLLIDA’ ENRICO, COLLIDA’ GIOVANNI FRANCESCO giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 19/06/2012 della COMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di TORINO del 20/09/2011, depositata il 26/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2015 dal Presidente Relatore Dott. MARIO CICALA;
udito l’Avvocato Palatiello Giovanni difensore della ricorrente che si riporta agli scritti e chiede l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione – deducendo quattro motivi -avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte 19/6/12 del 26 marzo 2012 che rigettava l’appello dell’agenzia confermando la illegittimità di cartella di pagamento con cui era stato chiesto al sig. I. il versamento di somme a titolo di IVA e IRAP per l’anno di imposta 2003. I giudici di merito hanno affermato che tali somme non sono dovute posto che il sig. I., socio accomandatario della fallita PVA sas (e fallito in proprio) ha ottenuto dal Tribunale di Mondovì un decreto di esdebitazione in data 14 aprile 2008.
2. il sig. I. si è costituito in giudizio.
3. Veniva successivamente comunicata alle parti la seguente Relazione ex art. 380 bis c.p.c. “… Il ricorso deve essere rigettato.
Giova premettere che l’art. 142 della L. Fall. vigente (così come introdotto dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), prevede che a determinate condizioni, che qui non rilevano in quanto il loro accertamento è compito del Tribunale fallimentare, “il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti”.
Restano esclusi dall’esdebitazione:
a) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa;
b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonchè le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti. La lettera a) è stata così modificata dalD.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 10, comma 1, a decorrere dal 1 gennaio 2008 (in precedenza si parlava dei crediti “non compresi nel fallimento ai sensi dell’art. 46”, ma si può concordare con la Avvocatura che la modifica abbia avuto un portata meramente interpretativa).
Emerge fin da una prima lettura, come i crediti tributari non siano esplicitamente esclusi dall’esdebitazione; e questo dato non è privo di rilievo da momento che in altre disposizioni il legislatore si è preoccupato di dettare specifiche norme attinenti ai crediti tributari (cfr. l’art. 182 ter della medesima legge fallimentare). Ed il regime dei debiti tributari è, regolato nella L. n. 3 del 2012 (come modificata ed integrata dal D.L. n. 179 del 2012 conv. in L. n. 212 del 2012, che ha introdotto il così detto “esdebitamento” dei soggetti non contemplati dalla legge fallimentare).
La ricorrente Avvocatura svolge però ampie argomentazioni per sostenere in via interpretativa questa esclusione.
Sostiene (in particolare nel primo motivo) che le obbligazioni tributarie sarebbero “estranee all’esercizio dell’impresa” in quanto sarebbero collegate all’esercizio dell’impresa da un rapporto meramente occasionale.
La deduzione, prospettata sotto il profilo della violazione di legge, non risulta proposta nel giudizio di merito; è quindi di dubbia ammissibilità. Comunque può essere esaminata solo sotto un profilo:
la esclusione ope legis di tutti i debiti tributari dall’esdebitazione.
Simile tesi deve essere respinta. In quanto sussisto indubbiamente oneri tributari (e piuttosto rilevanti) che sicuramente sono “derivanti da rapporti non estranei all’esercizio dell’impresa”.
Fra questi – sia detto per inciso – rientrano sicuramente IVA ed IRAP (che a quanto risulta dalla narrativa sono richieste dall’atto tributario impugnato) che sono dovute proprio e soltanto perchè le operazioni economiche da cui scaturiscono rappresentano esercizio dell’impresa.
Mentre non rientra nel presente giudizio la valutazione se vi siano rapporti tributari esclusi dall’esdebitazione (come si potrebbe sostenere per l’ICI su una casa di abitazione).
Con un secondo argomento, sviluppato in modo particolare nel secondo motivo, l’Avvocatura erariale invoca l’art. 53 Cost. e quindi sostiene la inderogabilità dei crediti tributari in quanto espressione del dovere di ogni soggetto di concorrere alle spese pubbliche.
L’argomento, come emerge dalle attente argomentazioni presenti nel ricorso, condurrebbe però ad una dichiarazione di incostituzionalità di tutta la normativa sull’esdebitazione e in fondo di tutta una prassi legislativa che ha previsto la “definizione agevolata”, o addirittura l’abbandono di crediti tributari.
La stessa presunta “irrinunciabilità” dei crediti tributari è, del resto, posta in crisi da disposizioni come art. 17bis nel corpo della L. n. 546 del 1992 introdotto dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 9, convertito dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, secondo cui la Amministrazione nel formulare la sua eventuale proposta di mediazione deve aver “riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa”; cioè, sembrerebbe alla eterna massima “pochi maledetti e subito”, che induce a rinunciare ad una pretesa giuridicamente fondata, ma di incerto incasso, accettando una somma minore ma di sicuro incasso.
Del resto, è difficile individuare un qualche credito cancellato dall’esdebitazione che non goda di tutela costituzionale (è ad esempio ovvio che ne godono i crediti del lavoratore); e tuttavia in un bilanciamento di interessi (e disposizioni costituzionali) contrapposte, il legislatore sacrifica i diritti dei creditori in vista del ragionevole obbiettivo di consentire al fallito incolpevole (ed in genere a tutti gli indebitati) di riprendere la loro attività economica senza il timore di dover versare quasi tutto il percepito ai creditori. E questo sacrificio trova ulteriore giustificazione nella circostanza che – se le procedure fallimentari sono state regolarmente esperite- il fallito non possiede più alcun bene e dunque si tratta di crediti di quasi impossibile soddisfacimento (e nulla dovrebbe più possedere anche il non imprenditore che si sia sottoposto alla procedura di liquidazione del suo patrimonio di cui al D.L. n. 179 del 2012 conv. in L. n. 212 del 2012; anche se ovviamente in queste ipotesi il controllo pubblico sulla consistenza del patrimonio del debitore è meno incisiva).
Con il terzo motivo, la Avvocatura sottolinea come i crediti esposti nella cartella impugnata avrebbero in parte natura sanzionatorio e ciò li escluderebbe dall’esdebitazione.
Il motivo appare inammissibile perchè comporta un accertamento in fatto circa la natura dei crediti esposti, che non risulta richiesto in sede di merito.
Appare inoltre infondato perchè le sanzioni di cui si tratta sono strettamente connesse al debito principale che viene – in ipotesi – estinto. E non appare logico limitare l’effetto dell’esdebitazione alle sanzioni che derivino da crediti pienamente soddisfatti; mentre la coerenza del sistema induce a cancellare anche le sanzioni connesse ai debiti divenuti inesigibili (e che sovente sono rapportate all’ammontare di tali debiti).
Con il quarto motivo la Amministrazione invoca l’ultimo comma dell’art. 144 della L. Fall. secondo cui, in caso di “creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo”, “l’esdebitazione opera per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado”.
Il motivo appare però inammissibile in quanto invocato per la prima volta – a quanto risulta – in sede di ricorso per cassazione”.
4. Il Collegio, preso atto delle deduzioni orali della Avvocatura di Stato, in considerazione dell’importanza della questione dedotta, ha ritenuto opportuna la trattazione della controversia in pubblica udienza. Ed a tal fine è stata fissata la udienza del 6 maggio 2015.
5. Dopo la nuova discussione della controversia, il Collegio ha condiviso l’impostazione della proposta del relatore; ma ha osservato che il coinvolgimento dei crediti IVA negli effetti dell’esdebitazione determina il rischio di un conflitto con la normativa comunitaria.
6. Occorre cioè domandarsi se l’inderogabilità dell’IVA da ultimo sottolineata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 225 del 25 luglio 2014 possa cedere o meno a fronte di un accertamento giudiziale di incapienza della procedura fallimentare, e di meritorietà dell’imprenditore fallito.
7. Si pone dunque – come in relazione alla procedura di concordato preventivo (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Udine il 28 novembre 2014 – Degano Trasporti S.a.s. di Ferruccio Degano & C. in liquidazione -Causa C-546/14)- il quesito se considerazioni pratiche accertate giudizialmente (quali la insolvenza del debitore meritevole, o la possibilità di percepire sono una parte del credito IVA) possano giustificare la rinuncia, in tutto o in parte, ad un credito che rischia di rimanere del tutto insoddisfatto, ancorchè integro nella sua esistenza giuridica.
8. In relazione a quanto ora affermato si sottopone alla Corte di Giustizia il seguente quesito pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, al quale si premette:
Il quadro normativo interno.
9. Il D.Lgs. n. 5 del 2006, modificando gli artt. 142 – 144 L. Fall.
– R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – ha disciplinato la liberazione del debitore che sia una persona fisica -imprenditore commerciale dichiarato fallito, con esclusione del piccolo imprenditore commerciale, del debitore civile e dell’imprenditore non commerciale- dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali rimasti insoddisfatti dalla liquidazione fallimentare. Il Tribunale fallimentare in composizione collegiale decide fondando la sua istruttoria sulla valutazione dei pareri del curatore e del comitato dei creditori che non sono, tuttavia, vincolanti per l’autorità giudiziaria. Si tratta di un istituto teso, secondo la dottrina italiana riportata nella Relazione dell’Ufficio del Massimario di questa Corte n. 35/2011, a consentire ai debitori di ripartire da zero (cd. fresh start), dopo aver cancellato tutti i debiti pregressi (cd. discharge) e quindi essere di nuovo dei soggetti economici attivi senza dover sopportare limitazioni all’iniziativa o alle proprie potenzialità di favorire la produzione di ricchezza per effetto del peso dei debiti precedenti. Le condizioni stabilite dall’art. 142, comma 1, L. Fall., perchè il debitore possa fruire del beneficio, sono di natura soggettiva, attenendo alla condotta del fallito, pregressa o successiva all’apertura della procedura fallimentare. L’art. 142 della legge fallimentare R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (così come modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 – art. 128 -, in SO n. 13, relativo alla G.U. 16/01/2006, n. 12) prevede che: “Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che: 1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni; 2) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
3) non abbia violato le disposizioni di cui all’art. 48; 4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta; 5) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; 6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale. L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Restano esclusi dall’esdebitazione: a) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa; b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonchè le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti. Sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso”.
10. La lett. a) dell’art. 142 cit. è stata così modificata dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 10 comma 1, – in G.U. 16/10/2007, n. 241 -, a decorrere dal 1 gennaio 2008.
11. L’art. 143 L. Fall. aggiunge, al rispetto dei requisiti indicati all’art. 142 cit., un’ulteriore verifica finale, correlate ai poteri discrezionali del tribunale fallimentare, di compatibilità del beneficio imperniata sulla valutazione dei comportamenti collaborativi del debitore. L’art. 143 dispone, in particolare, che “Il tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo, verificate le condizioni di cui all’art. 142 e tenuto altresì conto dei comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. Contro il decreto che provvede sul ricorso, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il pubblico ministero e qualunque interessato possono proporre reclamo a norma dell’articolo”.
Il quadro normativo del diritto UE. 12. Gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva CEE e l’art. 4, paragrafo 3, TUE prevedono a carico di ogni Stato membro l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio. In forza del sistema IVA come attualmente armonizzato, gli Stati membri sono infatti tenuti al controllo degli adempimenti a carico dei soggetti passivi, alla verifica delle dichiarazioni, della contabilità e di ogni altra documentazione rilevante, alla liquidazione dell’imposta dovuta e alla relativa riscossione (Concl. Avv. Gen. Sharpston nella causa C-132/06, Commissione c. Italia, p.68)-.
13.Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia – sent. 7 luglio 2008, Commissione/Italia (C 132/06, Racc. pag. ID5457), p.37- gli Stati membri sono obbligati ad accertare le dichiarazioni fiscali dei contribuenti, la loro contabilità e gli altri documenti utili, nonchè a calcolare e a riscuotere l’imposta dovuta. Nella stessa occasione si è chiarito che nell’ambito del sistema comune dell’IVA gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, a tale riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione (Corte giust., Commissione/Italia, cit., p. 38). Tale libertà, tuttavia, è limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti; e questo sia all’interno di uno Stato membro, che nell’insieme di tutti loro. La sesta direttiva deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA, in base al quale gli operatori economici che effettuano le stesse operazioni non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell’IVA. Ogni azione degli Stati membri riguardante la riscossione dell’IVA deve rispettare questo principio (Corte giust., Commissione/Italia, cit., punto 39; Corte giust.,29 marzo 2012, causa C 500/10, Ufficio IVA di Piacenza, pp.20-22).
14. Si è del resto affermato che dagli artt. 2 e 22 della sesta direttiva IVA e dall’art. 10 CE emerga che ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative idonee a garantire che l’IVA dovuta nel suo territorio sia interamente riscossa. Si è ancora precisato che, nell’ambito del sistema comune dell’IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e che, a tale riguardo, gli Stati membri godono di una certa libertà in relazione al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione. La Corte ha tuttavia aggiunto che questa libertà è limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità – Corte giust., 15 novembre 2011, causa C 539/09, Commissione c.Rep.Fed.Germania, p.74; Corte giust., 29 luglio 2010, C 188/09, Dyrektor Izby Skarbowej w Bialymstoku, p.21.
15. Inoltre, giova ricordare che la Corte di giustizia ha ritenuto l’incompatibilità della normativa nazionale italiana in materia di condono IVA (L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9) – Corte giust. 17 luglio 2008, causa C-132/06; conf. Corte giust., 11 dicembre 2008 causa C 174/07, Commissione c. Repubblica Italiana-.
16. Tale pronunzia è stata interpretata restrittivamente dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con sentenza n. 3676/2010, hanno espresso il principio di diritto sotto riportato: “La sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 17 luglio 2008 in causa C-132/06 con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario della L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9 relativamente alla disposta condonabilità dell’IVA alle condizioni in tali norme previste, deve essere interpretata restrittivamente e non ha effetti in ordine all’applicazione dell’art. 16 della medesima legge, in quanto detta norma non concerne la definizione dell’imposta, bensì la definizione di una lite in corso tra contribuente ed amministrazione, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite stessa al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti”.
17.Non si dubita, però, da parte della Corte costituzionale italiana, che “…è la natura dell’IVA quale risorsa propria dell’Unione Europea a spiegare i vincoli per gli Stati membri nella gestione e riscossione dell’imposta, come pure l’inderogabilità della disciplina interna del tributo e, nella specie, la formulazione dell’art. 182-ter della legge fallimentare R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (che, in ossequio al principio dell’indisponibilità della pretesa tributaria all’infuori di specifica previsione normativa che ne preveda la rideterminazione, ha escluso la falcidiabilità del credito IVA in sede di transazione fiscale, consentendone soltanto la dilazione del pagamento.” – cfr. Corte cost. 25 luglio 2014, n. 225;
conf., Corte cost. 25 luglio 2011 n. 247-.
Il dubbio interpretativo in ordine alla compatibilità della normativa interna rispetto al diritto comunitario.
18. Questa Corte reputa che il legislatore interno, nel prevedere in modo specifico alcune tassative esclusioni dal beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti senza menzionare in alcun modo i crediti tributari abbia ritenuto, nell’ambito delle scelte discrezionali ad esso riservate e sulla base di un bilanciamento dei contrapposti interessi, che al soggetto ritenuto dall’autorità giudiziaria meritevole del beneficio dell’esdebitazione non deve farsi carico del pagamento dei debiti fiscali, in una prospettiva dell’estinzione dei propri debiti quale stimolo a condotte incentivanti ad un ripristino di una soggettività economica ritenuta socialmente utile.
19. Occorre allora verificare se la normativa interna si ponga o meno in contrasto con i principi comunitari risultanti dalla normativa UE come interpretata dalla Corte di Giustizia laddove includono nel beneficio della liberazione anche i debiti IVA. 20. La questione si palesa controversa in quanto l’esclusione del credito viene dalla legge riconosciuta al soggetto debitore non in via astratta, piuttosto derivando da una valutazione giudiziale operata dal Tribunale fallimentare in ordine alla prognosi che il soggetto beneficiario possa reimmettersi nel mercato produttivo. Si prospetta, d’altra parte, la questione della compatibilità della disciplina anzidetta con le regole della concorrenza ponendosi detta disciplina, operante sulla base dei requisiti soggettivi già ricordati, come potenzialmente idonea a favorire il reinserimento dei soggetti ammessi al detto beneficio rispetto ai soggetti falliti che non possono godere di tale trattamento perchè esclusi ex lege dall’accesso a simile procedura.
21. Si chiede pertanto alla Corte di fornire un’interpretazione autentica del diritto Ue in modo che questa Corte possa conseguentemente applicare i noti principi in tema di interpretazione comunitariamente conforme -v., per tutte, Corte giust. 13.11.1990, causa C-106/89, Marleasing, punto 8; Corte giust., 14.7.1994, causa C- 91/92, Faccini Dori, punto 26; Corte giust. 10.4.1984, causa C-14/83, von Colson, cit., punto 26; Corte Giust.28 giugno 2012, causa C-7/11, Caronna, p. 51-ovvero procedere, all’eventuale non applicazione della norma interna contrastante con il diritto UE- Corte giust. Corte giust., 19 novembre 2014, C-404/13, The Queen, p.54; Corte giust., 25 luglio 2008, CD237/07, Dieter Janecek, p.36- se la Corte Europea dovesse ritenere che il diritto UE osta ad una normativa nazionale che prevede l’estinzione dei debiti nascenti dall’IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dal R.D. n. 267 del 1942, artt. 142 e 143.
22. Si formula il seguente quesito pregiudiziale:
L’art. 4, paragrafo 3, TUE e gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, devono essere interpretati nel senso che essi ostano all’applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l’estinzione dei debiti nascenti dall’IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dal R.D. n. 267 del 1942, artt. 142 e 143.
P.Q.M.
La Corte, visti l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e l’art. 295 c.p.c.; chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulle questioni d’interpretazione del diritto comunitario specificate in motivazione; ordina la sospensione del processo e che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di Giustizia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione sesta civile, il 6 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2015