201507.09
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Corte Cost., 9 luglio 2015 (ord.), n. 147 (testo)

ORDINANZA N. 147

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2009, n. 2, promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con ordinanza del 18 dicembre 2012 e dalla Commissione tributaria provinciale di Latina con ordinanza del 29 gennaio 2013, iscritte ai nn. 152 e 206 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 27 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti gli atti di costituzione di Equitalia Nord spa (quale incorporante di Equitalia Nomos spa), di Equitalia Sud spa, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 maggio 2015 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato Marcello Cecchetti per Equitalia Nord spa (quale incorporante di Equitalia Nomos spa) e per Equitalia Sud spa e l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Torino – nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento di una cartella di pagamento per tributi IRAP e IRPEF – con ordinanza depositata il 18 dicembre 2012 ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2009, n. 2;

che nell’ordinanza di rimessione si riferisce che il ricorrente ha dedotto diversi motivi di impugnazione, tutti reputati infondati, e ha sollecitato il promovimento dell’incidente di costituzionalità con riferimento all’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999 per violazione degli artt. 3, 53 e 97 Cost.;

che il giudice a quo, facendo parzialmente proprie le argomentazioni della parte ricorrente, ritenuta la rilevanza della questione di illegittimità costituzionale avente ad oggetto il citato art. 17, ne sostiene la non manifesta infondatezza, reputando che il criterio di calcolo dell’aggio ivi disciplinato comporterebbe la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo del canone della ragionevolezza, in quanto risulta sganciato dal costo del servizio svolto dall’agente di riscossione e include, nella base di calcolo, anche gli interessi dovuti all’ente impositore titolare del credito di imposta;

che, con memoria depositata il 23 luglio 2013, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale sostiene la non fondatezza della questione sollevata, essendo indimostrato che il tasso proporzionale del 9 per cento, applicato su tutte le esecuzioni fruttuose, sia eccedentario rispetto all’obiettivo di remunerazione dell’intero sistema di riscossione, posto che, tra l’altro, la finalità cui tende l’aggio non implicherebbe una necessaria correlazione tra la sua misura e la singola operazione condotta dal concessionario;

che, con memoria depositata il 23 luglio 2013, è intervenuta Equitalia Nord spa, sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza della questione sollevata;

che in particolare vengono eccepiti i seguenti profili di inammissibilità:

− difetto assoluto di rilevanza e di motivazione sulla rilevanza per carenza del nesso di pregiudizialità necessaria, in quanto il giudice a quo non si pronuncerebbe, se non apparentemente, su due dei tredici motivi di ricorso;

− sempre in punto di rilevanza, ipoteticità della questione sollevata, posto che la disciplina sarebbe censurata in quanto in grado, potenzialmente, di obbligare il debitore al pagamento di un aggio sproporzionato rispetto al costo della procedura di riscossione, mancando però specifica motivazione sulla ricorrenza di tale eventualità nel caso concreto, anzi non essendo rinvenibile nell’ordinanza l’affermazione che la somma dovuta dal debitore ricorrente nel giudizio a quo – pari a 566,88 euro – sia effettivamente sproporzionata rispetto al costo del servizio della riscossione;

− contraddittorietà tra il petitum e la motivazione posta a sostegno della non manifesta infondatezza della questione sollevata, in quanto il giudice rimettente chiederebbe una pronuncia di accoglimento cosiddetta «secca», volta a caducare nella sua interezza la disposizione legislativa che prevede l’aggio, ma la motivazione dell’ordinanza sarebbe integralmente incentrata sulla irragionevolezza della disciplina (e sulla conseguente violazione del parametro costituzionale invocato) nella (sola) parte in cui impone al debitore di pagare un aggio determinato mediante percentuale fissa e dunque potenzialmente slegato dall’effettivo costo del servizio della riscossione;

che, nel merito, viene sostenuta l’infondatezza del primo profilo di irragionevolezza della disciplina censurata, e ciò in quanto, in maniera assolutamente ragionevole, la fissazione del compenso sarebbe stata effettuata dal legislatore in misura fissa e unitaria, ancorandola alle rilevazioni storicamente disponibili (ovvero le misure degli aggi diversificati a livello provinciale previsti dalla normativa previgente, determinati sulla base dei costi di riscossione) e demandando a successivi decreti ministeriali il suo eventuale adeguamento, in aumento o in diminuzione, in base all’andamento della riscossione ed ai costi del sistema;

che, sempre nel merito, viene sostenuta l’infondatezza anche del secondo profilo, posto che il ragionamento del rimettente sarebbe viziato dall’erroneo presupposto secondo cui la quota di aggio percepita sugli interessi riscossi sarebbe acquisita da Equitalia «a titolo di interesse», e non, invece, quale parte dell’aggio sulle somme complessivamente riscosse per conto degli enti creditori;

che, in data 5 maggio 2015, Equitalia Nord spa ha depositato memoria, ribadendo le proprie argomentazioni a sostegno della inammissibilità e infondatezza della questione, ed evidenziando, per l’ipotesi di accoglimento della stessa, l’opportunità di considerare l’esigenza di disporre quantomeno una limitazione della retroattività degli effetti della declaratoria di incostituzionalità della norma censurata;

che la Commissione tributaria provinciale di Latina – nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento di una cartella di pagamento per tributi IRAP, IVA e ritenute alla fonte – con ordinanza depositata il 29 gennaio 2013 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999;

che nell’ordinanza di rimessione si riferisce che nel giudizio principale la ricorrente, oltre a richiedere in via pregiudiziale di verificare la costituzionalità della normativa richiamata dal concessionario, ha dedotto, in merito alla notifica dell’intimazione, l’assenza della relata di notifica, del numero del registro cronologico sulla busta e della sottoscrizione; in merito ai compensi dovuti per la riscossione e delle altre spese nonché agli interessi di mora, la nullità dell’avviso per difetto di motivazione per non aver, il concessionario, indicato l’articolazione dei servizi resi con i relativi costi sostenuti, nonché l’illegittimità del compenso per sproporzione rispetto al tipo di prestazione resa o da rendere;

che il giudice a quo, dopo aver affermato la rilevanza della questione di illegittimità costituzionale, ne sostiene la non manifesta infondatezza, con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 97 Cost., sulla base delle seguenti argomentazioni:

− il contrasto del citato art. 17 con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. emergerebbe per differenza di trattamento tra il cittadino in grado di pagare «immediatamente» (e cioè entro il termine per la presentazione del ricorso), essendo, in tal caso, l’aggio dovuto dal contribuente pari al 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, e quello privo dei mezzi sufficienti per effettuare tale pagamento entro il predetto termine, il quale è tenuto a versare l’aggio interamente nella misura del 9 per cento;

− altro profilo di violazione del citato parametro costituzionale deriverebbe dalla fissazione di un diverso compenso a parità dei servizi offerti dall’agente di riscossione, peraltro in assenza della fissazione di un importo massimo prestabilito dello stesso;

− irragionevole risulterebbe l’applicazione dell’aggio di riscossione anche sugli interessi di mora, sulla base della considerazione che l’agente della riscossione, in relazione agli importi non pagati tempestivamente dal contribuente, non ha anticipato alcuna somma all’erario;

che, con memoria depositata in cancelleria il 22 ottobre 2013, è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità della questione sollevata nonché la sua non fondatezza;

che, sotto il primo profilo viene argomentata la mancanza del nesso di pregiudizialità della stessa rispetto alla definizione della controversia sulla base dell’impugnazione dell’intimazione di pagamento per plurimi vizi dell’atto medesimo;

che, nel merito, viene sostenuto, innanzitutto, che resterebbe del tutto indimostrato che la determinazione del compenso nella misura del 9 per cento degli importi da riscuotere determini una sovracompensazione del servizio di riscossione, considerando che la remunerazione dei costi sostenuti dall’agente della riscossione non implica una necessaria correlazione tra la misura dell’aggio e la singola operazione condotta dal concessionario e che, del resto, del tutto ragionevole si dimostrerebbe la scelta di determinare la misura dell’aggio in misura proporzionale rispetto all’importo del debito, comprensivo degli interessi, che ha dato causa all’esecuzione, e, di contro, la fissazione di un limite massimo all’aggio finirebbe per riversare sulla platea dei contribuenti il cui inadempimento è minore la parte maggiore del costo delle esecuzioni infruttuose;

che, sempre nel merito, parimenti infondata sarebbe la questione posta in relazione all’art. 3 Cost., per la radicale diversità di situazioni che determinano il pagamento integrale del costo dell’aggio (la mora rispetto ai termini di adempimento) o il suo pagamento solo parziale (la tempestività del pagamento);

che, con memoria depositata in cancelleria il 22 ottobre 2013, è intervenuta nel giudizio di costituzionalità Equitalia Sud spa, eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità della questione sollevata sotto i seguenti profili:

− difetto assoluto di motivazione sulla rilevanza, in quanto il giudice rimettente non avrebbe in alcun modo argomentato sul punto, limitandosi ad affermazioni meramente assertive e apodittiche;

− difetto assoluto di rilevanza e, comunque, difetto di motivazione sulla rilevanza, sotto il profilo della mancata decisione degli altri motivi di ricorso che avrebbero potuto consentirne l’integrale accoglimento prescindendo dall’incidente di costituzionalità, in quanto, a fronte delle domande formulate nel ricorso principale, il giudice rimettente avrebbe dovuto esaminare e giudicare in via definitiva innanzitutto il primo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente lamentava la radicale nullità della notifica dell’avviso di pagamento impugnato;

− difetto assoluto di rilevanza e, comunque, difetto di motivazione sulla rilevanza, sotto il profilo della carente descrizione della fattispecie e della conseguente impossibilità di verificare l’applicabilità al caso in esame della disciplina legislativa censurata, in quanto l’ordinanza sarebbe priva degli elementi (tra cui la data di iscrizione a ruolo) necessari per stabilire se la norma censurata sia rilevante o meno ai fini della definizione del giudizio a quo;

− difetto assoluto di rilevanza e, comunque, difetto di motivazione sulla rilevanza per inapplicabilità al caso de quo della disciplina legislativa censurata, in quanto la norma applicabile (e concretamente applicata dall’agente della riscossione al momento dell’emissione dell’intimazione di pagamento oggetto del giudizio a quo) non sarebbe l’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999, nel testo modificato dall’art. 32, comma l, lettera a), del d.l. n. 185 del 2008 (oggetto della questione di costituzionalità), bensì lo stesso art. 17, commi l e 3, nella formulazione precedente;

che, nel merito, viene sostenuta la manifesta infondatezza della questione, in quanto la disciplina della misura dell’aggio – applicabile ratione temporis al giudizio a quo – sarebbe fondata su criteri razionali ed oggettivi tali da garantire l’ancoraggio del compenso ai costi del sistema di riscossione, anche considerando che l’aggio – per la cui determinazione il legislatore avrebbe comunque avuto cura di conservare il collegamento con i costi del sistema di riscossione come storicamente rilevati in ciascun ambito territoriale provinciale – sarebbe destinato a remunerare l’attività dell’agente della riscossione non in relazione alle singole attività compiute, ma alla complessiva attività di istituzione e mantenimento in efficienza del sistema nazionale della riscossione;

che viene, infine, eccepita l’inammissibilità della questione per inidoneità del decreto ministeriale 4 agosto 2000 (Remunerazione del Servizio nazionale della riscossione tramite ruolo ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112) – cui viene demandata, ai sensi dell’art. 17 (nella versione che sarebbe stata applicata al caso di specie), la concreta fissazione dell’aggio – a formare oggetto di sindacato dinanzi la Corte costituzionale, in quanto fonte di rango secondario;

che, in data 5 maggio 2015, Equitalia Sud spa ha depositato memoria, sostanzialmente ribadendo le proprie argomentazioni a sostegno della inammissibilità e infondatezza della questione ed evidenziando, come Equitalia Nord spa, l’opportunità, in caso di accoglimento della questione prospettata, di disporre quantomeno una limitazione della retroattività degli effetti della declaratoria di incostituzionalità della norma censurata.

Considerato che la Commissione provinciale tributaria di Torino e quella di Latina dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2009, n. 2, nella parte in cui addebita l’aggio in misura fissa del 9 per cento e include nella base di calcolo dello stesso anche gli interessi dovuti all’ente impositore titolare del credito di imposta;

che, a parere del primo giudice rimettente, esso violerebbe l’art. 3 della Costituzione, in quanto, da un lato, non ancorando in alcun modo la remunerazione dell’agente di riscossione ai costi del servizio, esporrebbe i contribuenti a pretese di rimborso di costi non giustificati, indimostrati ed esorbitanti, addizionando di fatto al debito per imposte una «pseudo sanzione» estranea «alla asserita funzione remunerativa del costo del servizio di riscossione»; dall’altro lato, includendo, nella somma relativamente alla quale tale percentuale viene calcolata, anche gli interessi di mora, riconoscerebbe, in maniera irragionevole, all’agente di riscossione «un sovrappiù a titolo di interessi, su somme da quest’ultimo non anticipate né sborsate»;

che il secondo giudice rimettente reputa che esso violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto: a) determinerebbe, a parità di servizio offerto, un’irragionevole disparità di trattamento tra il cittadino in grado di pagare immediatamente la pretesa (per il quale l’aggio dovuto è pari al 4,65 per cento, mentre il restante 4,35 per cento è dovuto dall’ente creditore) e colui che non adempie al pagamento delle somme dovute entro il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento (il quale deve versare l’aggio nella misura del 9 per cento); b) prevedrebbe in maniera ingiustificata un compenso nella percentuale fissa del 9 per cento, non ancorato ai costi del servizio di riscossione, senza fissazione di alcun tetto minimo e massimo; c) includerebbe immotivatamente, nella somma relativamente alla quale tale percentuale viene calcolata, anche gli interessi di mora, pur non avendo, l’agente della riscossione, anticipato alcuna somma all’erario;

che, data la comunanza di oggetto delle questioni sollevate, va disposta la riunione dei relativi giudizi;

che le questioni sono manifestamente inammissibili, per una pluralità di ragioni concomitanti;

che ciascuna delle ordinanze di rimessione è carente sia nella descrizione della concreta fattispecie cui si riferisce, sia nella motivazione in punto di rilevanza, e che dunque resta inibita, a questa Corte, la necessaria verifica circa l’influenza della questione di legittimità sulle decisioni richieste ai rimettenti;

che, infatti, la Commissione tributaria provinciale di Latina si limita a esporre che il ricorrente ha impugnato un’intimazione di pagamento «per importi iscritti a ruolo conseguenti alla cartella di pagamento n. 057 2007 0017869402/000, notificata il 10 maggio 2007, emessa a seguito di imposte IRAP, IVA e ritenute alla fonte sui redditi per l’anno 2002»;

che da tale scarna descrizione della fattispecie non emergono una serie di elementi – tra i quali, in particolare, la data di iscrizione a ruolo dei suddetti importi – necessari per verificare se la normativa censurata sia rilevante o meno ai fini della definizione del giudizio a quo;

che, nel caso in esame, la carente descrizione della fattispecie risulta tanto più determinante in quanto la disposizione censurata ha subito diversi interventi normativi e solo un’adeguata esposizione di tutti gli elementi essenziali del caso in esame avrebbe consentito di individuare con certezza la versione dell’art. 17 applicabile ratione temporis;

che analoghe carenze sono ravvisabili nell’ordinanza di rimessione della Commissione tributaria provinciale di Torino, la quale si limita a riferire la data del ricorso avente ad oggetto la cartella di pagamento per tributi IRAP ed IRPEF, nonché la data di notifica dell’avviso di accertamento;

che l’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie, per consolidata giurisprudenza della Corte, si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza che induce alla declaratoria di inammissibilità della questione (tra le tante, sentenza n. 301 del 2012; ordinanze n. 249 e n. 93 del 2012);

che, inoltre, la Commissione tributaria provinciale di Torino censura l’art. 17 in quanto in grado, potenzialmente, di obbligare il debitore al pagamento di un aggio sproporzionato rispetto al costo della procedura di riscossione, senza, però, offrire alcuna motivazione sulla ricorrenza di tale eventualità nel caso concreto, non essendo rinvenibile nell’ordinanza di rimessione l’affermazione che la somma dovuta dal ricorrente – pari a 566,88 euro – sia effettivamente sproporzionata rispetto al costo del servizio della riscossione;

che va negata la rilevanza della questione di legittimità quando è proposta relativamente ad un vizio che, pur concernendo la disposizione censurata, non troverebbe riscontro nel giudizio a quo;

che tali carenze argomentative e descrittive si traducono in altrettanti vizi di carente motivazione sulla rilevanza della questione (sentenza n. 360 del 2010 ed ordinanza n. 306 del 2009) e di insufficiente descrizione della fattispecie concreta (ordinanze n. 363 e n. 338 del 2010), che impediscono a questa Corte di vagliare l’effettiva applicabilità della norma denunciata al caso dedotto in giudizio (sentenza n. 101 del 2011).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2009, n. 2, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino e dalla Commissione tributaria provinciale di Latina, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2015.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2015.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella Paola MELATTI

(fonte www.cortecostituzionale.it)