Cass., sez. unite civ., 3 giugno 2015 (ord.), n. 11373 (testo)
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, ordinanza interlocutoria 24 marzo – 3 giugno 2015, n. 11373
Presidente Roselli – Relatore Cappabianca
Svolgimento del processo
In relazione alle formalità di cancellazione di ipoteca e privilegio speciale, oggetto di atto notarile 30.9.2003, concernenti mutuo agevolato in precedenza erogato e gestito da società poi incorporata, Sviluppo Italia s.p.a. – società d’intermediazione finanziaria – usufruì dell’esenzione dall’imposta ipotecaria, prevista dall’art. 15 d.p.r. 601/1973 per le operazioni di finanziamento a medio e lungo tempo (e per tutti gli atti e le formalità connesse) effettuate da aziende ed istituti di credito.
Riscontrata l’assenza del requisito soggettivo prescritto dalla norma agevolatrice (la qualità di “azienda” o “istituto di credito” ovvero di relativa “sezione o gestione” del soggetto erogante il finanziamento), l’Agenzia del Territorio provvide al recupero dell’imposta, con due distinti avvisi di liquidazione.
Avverso tali avvisi, la società contribuente propose ricorso, assumendo di avere diritto all’agevolazione, quale “intermediario finanziario” iscritto nell’elenco contemplato dall’art. 107, comma 1, d.lgs. 385/1993 e, quindi, abilitato all’attività di concessione di finanziamenti.
L’adita Commissione provinciale accolse il ricorso, con sentenza che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu confermata dalla Commissione regionale.
Ad avviso dei giudici di merito, le innovazioni normative, che hanno determinato la sopravvenuta inclusione degli intermediari finanziari (rispondenti a determinati requisiti) nel novero dei soggetti abilitati ad operare nel settore dell’erogazione del credito, comportano necessariamente che a tali soggetti si applichi integralmente la normativa correlativamente predisposta, ivi compreso il beneficio fiscale di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973.
Avverso la pronuncia di appello, l’Agenzia del Territorio ha promosso ricorso per cassazione, in unico motivo.
In particolare – denunciata “violazione e falsa applicazione dell’art. 15 d.p.r. 601/73 e dell’art. 12 disp. prel. al c.c. e del loro combinato disposto (art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.)” – la ricorrente ha censurato la decisione impugnata per non aver considerato che, in base al dato testuale dell’art. 15 d.p.r. 601/1973, il beneficio fiscale ivi previsto è inequivocamente applicabile alle sole operazioni di finanziamento riferibili, dal punto di vista soggettivo, ad “aziende e istituti di credito” (e “loro sezioni o gestioni“) e non anche a quelle ricollegabili all’attività di intermediari finanziari, seppur iscritti nell’elenco di cui all’art. 107, comma 1, d.lgs. 385/1993.
La società intimata ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, teso a far valere l’inammissibilità, in varia prospettiva, dell’appello promosso dall’Agenzia del Territorio; con memoria ex art. 378 c.p.c. ha, poi, formulato eccezione di giudicato.
In esito ad ordinanza interlocutoria 10066/14 della Sezione tributaria – che, disattesa l’eccezione di giudicato, ha riscontrato, sul punto centrale della controversia, la ricorrenza, in seno alla Sezione, di orientamenti dissonanti – la causa è stata rimessa a queste Sezioni unite per la composizione del contrasto e, quindi, fissata per l’odierna udienza di discussione, in prospettiva della quale la società controricorrente ha depositato ulteriore memoria conclusionale.
Motivi della decisione
I) – La questione rimessa a queste Sezioni unite.
Il contrasto rilevato dalla citata ordinanza interlocutoria e rimesso al vaglio di queste Sezioni unite investe la questione del se il beneficio fiscale, previsto dall’art. 15 d.p.r. 601/1973 in combinato con il successivo art. 17 per le operazioni di finanziamento a medio e lungo termine effettuate da “aziende” ed “istituti di credito” e “loro sezioni o gestioni”, sia applicabile anche alle medesime operazioni poste, invece, in essere da “intermediari finanziari” abilitati alla relativa erogazione in quanto iscritti nell’apposito elenco speciale (poi Albo).
II)- Il quadro normativo di riferimento.
1. – L’art. 15 d.p.r. 601/1973 (in particolare nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) sancisce che sono esenti dall’imposta di registro, dall’imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali nonché dalle tasse sulle concessioni governative le operazioni (e tutti indistintamente i provvedimenti, atti, contratti e formalità ad esse inerenti) relative ai finanziamenti a medio e lungo termine (di durata contrattuale, cioè, superiore a diciotto mesi: v. il comma 3), “effettuate da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni“.
Il successivo art. 17 dispone, complementarmente, che, nelle ipotesi di cui all’art. 15, “in luogo delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e delle tasse sulle concessioni governative“, si corrisponde “una imposta sostitutiva“.
2 – Il tenore delle riportate disposizioni rivela che, per le ipotesi considerate dall’art. 15 d.p.r. 601/1973, viene a delinearsi, in relazione alle imposte richiamate, un regime (agevolato) d’imposizione alternativo rispetto a quello ordinario (con decorrenza dal 23.12.2013, a carattere opzionale, in conseguenza della modificazioni apportate alle disposizioni sopra menzionate dall’art. 12 d.l. 145/2013, convertito in l. 9/2014); regime operante sul presupposto della ricorrenza di due requisiti: a) il primo, di natura oggettiva, consistente nel compimento di operazioni di concessione di finanziamento a medio e lungo termine; b) il secondo, di natura soggettiva, consistente nella riferibilità di dette operazioni (secondo il testuale dato normativo) ad “aziende e istituti di credito” e “loro sezioni o gestioni“.
3 – Laddove delinea l’ambito di applicazione soggettivo della disposta agevolazione in riferimento all’attività di “aziende” ed “istituti di credito“, l’art. 15 d.p.r. 601/1973 richiama ben specifiche nozioni, già contemplate (sulla scia di ancor più risalente impostazione: v. r.d.l. 1151/1926) dalla legge bancaria vigente all’atto della sua emanazione e definite quali figure in dicotomica contrapposizione, nell’ambito degli enti esercitanti attività bancaria, in funzione della destinazione, rispettivamente, alla raccolta, e all’impiego, di risparmio “a vista” o a “breve termine” ovvero alla raccolta di risparmio “a medio o lungo termine” ed al correlativo impiego, con particolare riguardo al credito “speciale” ed a quello “agevolato“, inerente agli interventi dello Stato nell’economia.
Essendo progressivamente venuta meno ogni distinzione funzionale tra “aziende” ed “istituti di credito” (come definitivamente sancito dal Testo unico sulle leggi in materia bancaria – t.u.l.b. – di cui al d.lgs. 385/1993), ne discende che elettive destinatarie del regime fiscale agevolato disposto dagli artt. 15 e 17 d.p.r. 601/1973 vanno, in definitiva, ritenute le “banche” (anche “comunitarie” per i finanziamenti direttamente effettuati in Territorio italiano: cfr. dir. 89/646/Cee); cui, l’art. 10 del citato testo unico riserva l’esercizio dell’”attività bancaria” (v. il comma 2), indistintamente definita come “la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito“, con carattere d’impresa (v. il comma 1).
4 – In aderenza all’evoluzione del settore creditizio e per effetto dell’acquisita consapevolezza dell’inadeguatezza di un regime di finanziamento del sistema produttivo basato sul monopolio bancario – il t.u.l.b. di cui al d.lgs. 385/1993 (cfr. l’art. 106, comma 1) ha, peraltro, incluso nel novero dei soggetti abilitati all’attività di “concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma” (previa relativa iscrizione in apposito “elenco speciale“; “Albo”, a seguito delle innovazioni di cui al d.lgs. 141/2010) anche gli “intermediari finanziari“: soggetti, diversi dalle “banche”, e, pur tuttavia, qualificati da adeguati requisiti professionali e patrimoniali nonché dall’assoggettamento ad incisivi controlli.
Per effetto delle modifiche apportate dalla l. 342/1999 (in particolare: dai relativi artt. 21, comma 1, e 9) al t.u.l.b. di cui al d.lgs. 385/1993 (in particolare ai relativi artt. 47 e 107), gli intermediari suddetti sono stati, altresì, ammessi all’esercizio del credito “agevolato” (in precedenza indistintamente aperto a “tutte le banche“).
Come emerge anche dal contenuto del d.lgs. 141/2010, nella parte che ha modificato la disciplina del V titolo del t.u.l.b., la tendenza evolutiva del sistema è, peraltro, nel senso dell’ulteriore liberalizzazione del mercato del credito e della sua apertura ad altri organismi.
5 – Seppur consistentemente assimilate, in esito dell’indicata evoluzione normativa, le sfere operative di “banche” ed “intermediari finanziari” continuano, tuttavia, a diversificarsi.
In forza dell’endiadi, di cui alla previsione del sopra riportato comma 1 dell’art. 10 d.lgs. 385/1993, e della riserva, di cui al comma 2 della medesima disposizione – soltanto alle “banche” (o, secondo la terminologia comunitaria, agli “enti creditizi”) è, infatti, riservato l’esercizio di attività di raccolta di risparmio tra il pubblico, congiunto all’esercizio del credito. Mentre agli “intermediari finanziari” è consentito esclusivamente l’esercizio del credito disgiunto dall’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico. Ciò almeno tendenzialmente, atteso che, per la presenza di varie eccezioni alla regola (cfr. l’art. 11, comma 4 lett. c, d, e, f t.u.l.b.), sempre preclusa agli “intermediari finanziari” (anche in ossequio a normativa comunitaria: v. la dir. 89/646/Ce) è solo la raccolta di fondi “a vista” o “rimborsabili”; non anche quella di fondi destinati a fini speculativi, soggetti al rischio d’investimento (c.d. “risparmio di rischio”).
III) – Gli opposti indirizzi emersi nella giurisprudenza della Sezione tributaria.
1. – Come rilevato nell’ordinanza interlocutoria, nell’interpretare il quadro normativo di riferimento (sopra descritto nel divenire dei suoi profili qui rilevanti), la Sezione tributaria ha sviluppato due orientamenti inconciliabili.
2.- Cass. 5697/14 e ord. 6234/12 (senza tener conto di precedente contrario e, dunque, nella presumibile inconsapevolezza del contrasto) nonché Cass. 5570/11 negano che l’agevolazione di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973 possa essere riconosciuta anche agli intermediari finanziari.
A tale conclusione le richiamate decisioni pervengono essenzialmente: a) in base al rilievo che la disposizione in rassegna, non subordinando il godimento dell’agevolazione al solo requisito oggettivo del compimento di operazioni di finanziamento a medio o lungo termine, accorda il trattamento privilegiato esclusivamente a quelle tra tali operazioni che siano soggettivamente riferibili ad “aziende e istituti di credito o loro sezioni o gestioni …” e, dunque, alle “banche”; b) in forza della considerazione che costituisce principio generale del diritto tributario che le norme, che (come quella di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973) riconoscono agevolazioni fiscali e benefici in deroga al regime ordinario, sono, in quanto eccezioni all’ordinario regime impositivo, norme di stretta interpretazione ed insuscettibili di applicazione analogica.
In tale prospettiva, l’orientamento si salda a quello già in precedenza espresso da Cass. 3454/86 e 6183/84, le quali – con riguardo a fattispecie concernenti operazioni di finanziamento a medio o lungo termine eseguite da Cassa pensione per i dipendenti degli enti locali e quelle poste in essere, quali forme di investimento dei propri mezzi patrimoniali, da enti comunque istituiti per finalità (pur di rilevanza pubblica) diverse dalla concessione di finanziamenti – hanno ritenuto ineludibile al fine del godimento dell’agevolazione di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973, così in concreto negando il beneficio, la qualificazione soggettiva d’impresa bancaria.
3.- In consapevole contrasto con l’indirizzo precedentemente esposto, Cass. 5845/11 (che, come rilevato dall’ordinanza interlocutoria, è intervenuta su controversia del tutto analoga tra le medesime parti qui coinvolte) ritiene, invece, che, l’agevolazione fiscale in oggetto deve esser riconosciuta anche agli intermediari finanziari.
Pur dando atto delle indicazioni univocamente contrarie emergenti dalla lettera della legge (in particolare da quella dell’art. 15 d.p.r. 601/1973), la decisione perviene alla conclusione in base ad interpretazione dichiaratamente evolutiva e costituzionalmente orientata.
La decisione, in particolare, ripercorre l’evoluzione storica dell’attività creditizia: dapprima, suddivisa, in funzione della durata del finanziamento, tra “aziende” ed “istituti” di credito, poi, indistintamente riservata a tutte le “banche” (cfr. l’art. 10, comma 2, t.u.l.b.), anche con riguardo al settore del credito agevolato (cfr. l’art. 47 t.u.l.b.), e quindi, in ottica di ulteriore liberalizzazione del settore nel perseguimento dei vantaggi connessi al regime di concorrenza, aperta agli intermediari finanziari (cfr. artt. 106 e s. t.u.l.b.).
Considera, poi, che, in conseguenza delle modifiche apportate dall’art. 21 d.lgs. 342/1999 alla disciplina del titolo V del t.u.l.b. di cui al d.lgs. 385/1993, agli intermediari finanziari è stato dischiuso – attraverso il richiamo all’art. 47 del citato d.p.r., operato dall’art. 107, comma 7, t.u.l.b., (poi, dall’art. 110 nella formulazione introdotta dal d.lgs. 141/2010) – anche il settore del finanziamento agevolato (in precedenza riservato ad alcune banche e, quindi, indifferenziatamente aperto ad esse) e ciò in piena equiparazione con le banche medesime, anche sul piano della correlativa specifica disciplina fiscale.
Ne inferisce, quindi, che – pur restando gli intermediari finanziari soggetti ontologicamente diversi dalle banche ed a queste non completamente omologabili né dal punto di vista funzionale (essendo loro preclusa l’attività di raccolta del risparmio pubblico, costituente uno dei due termini dell’endiadi in cui si compendia l’attività bancaria) né da quello della regolamentazione, (differente essendone fonte e contenuti, pur all’interno del medesimo testo unico) – la piena equiparazione degli intermediari finanziari alle banche, attuata, limitatamente all’erogazione di finanziamenti agevolati, anche con riguardo ai relativi profili fiscali, rende inevitabile riconoscere l’agevolazione di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973 anche all’attività di finanziamento posta in essere dagli intermediari (che originariamente, non avendo alcun ruolo nel settore del finanziamento a medio e lungo termine, non avevano ragione di essere contemplati dalla norma). Altrimenti, sostiene, si verrebbero a determinare l’incoerenza nel sistema della disciplina normativa del settore e seri sospetti d’illegittimità costituzionale della norma con riguardo ai parametri di cui agli artt. 3 e 41 Cost..
A tale ultimo riguardo, in particolare, la decisione rivela che, non diversamente da quanto avviene per le altre norme, anche per le norme di agevolazione fiscale, ove il relativo tenore letterale porti a soluzioni incoerenti con l’evoluzione storica e, per effetto di questa, di dubbia conformità a parametri costituzionali, occorre procedere ad interpretazione adeguatrice e “costituzionalmente orientata”.
IV) Ragione del contrasto.
L’analisi degli indirizzi compresenti nella giurisprudenza della Sezione tributaria rende evidente che il contrasto trova essenzialmente causa nella difficoltà di conciliare due esigenze divaricanti e, pur tuttavia, entrambe meritevoli di considerazione: rispettare il principio generale del diritto tributario, secondo cui le norme che riconoscono agevolazioni e benefici fiscali in deroga al regime ordinario, essendo eccezionali e come tali di stretta interpretazione, sono insuscettibili d’interpretazione che trascenda il significato letterale del dato normativo; evitare un’ingiustificata disparità di trattamento ed una distorsione della concorrenza tra soggetti operanti, ancorché limitatamente a parte delle rispettive attività, nel medesimo settore di mercato.
V) Analisi critica della tesi estensiva.
1. – Tanto premesso in sede di prima approssimazione al tema, occorre, in primo luogo, puntualizzare che – come, del resto, reso palese dalla stessa Cass. 5845/11, nel dichiarare necessario ancorare la conclusione propugnata ad un’interpretazione logico-evolutiva e costituzionalmente orientata – il richiamo all’art. 47 d.lgs. 385/1993, operato ai fini della disciplina degli intermediari finanziari dall’art. 107, comma 4, d.p.r. 385/1993, come modificato dall’art. 21 d.lgs. 342/1999, (e, poi, dall’art. 110, come modificato dal d.lgs. 141/2010), è del tutto inidoneo a determinare, per proprietà transitiva, la riferibilità agli intermediari finanziari della previsione di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973.
Infatti – mentre l’art. 106, comma 1, d.p.r. 385/1993 abilita gli intermediari finanziari alla “concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma” – l’art. 47, che non contiene alcun richiamo al beneficio di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973, riguarda i soli “finanziamenti agevolati” (finalizzati alla realizzazione di scopi di particolare rilevanza) ed il correlativo regime; con la conseguenza che il rinvio a tale norma disposto dall’art. 107 (e poi dall’art. 110) d.lgs. 385/1993, nell’aprire agli intermediari finanziari il campo dei finanziamenti “agevolati”, non estende ad essi, in base alla concatenazione delle norme, che l’applicazione della disciplina (fiscale, tariffaria e procedimentale) ad essi specificamente relativa.
Né contrari elementi di valutazione possono trarsi dalla previsione dell’art. 19 d.p.r. 601/1973, che, non di meno, espressamente subordina l’(ulteriore) agevolazione prevista ai medesimi presupposti oggettivi e soggettivi richiesti dal (richiamato) precedente art. 15 (cfr. Cass. 5697/14, 2605/12).
2.1 – Ciò precisato, deve rilevarsi che nemmeno l’operazione ermeneutica intentata da Cass. 5845/11, pur non priva di suggestione, può ritenersi idonea a giustificare l’estensione della previsione di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973 ai finanziamenti effettuati dagli intermediari finanziari.
2.2. – È, invero, principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e condiviso dalla prevalente dottrina, che le norme fiscali di agevolazione sono norme di “stretta interpretazione”, nel senso che non sono in alcun modo applicabili a casi e situazioni non riconducibili al relativo significato letterale; sicché, in particolare, non vi è possibilità di ricomprendere nell’ambito applicativo di una norma di agevolazione fiscale figura soggettiva diversa da quella specificamente contemplata dal testuale dato normativo (cfr. Cass. 14157/03, 15316/02).
Il principio è generalmente fondato sull’esigenza dogmatica, codificata nell’art. 14 disp. prel. cod. civ., connessa al fatto che le disposizioni agevolative costituiscono altrettante deroghe al sistema definito dalle norme tributarie impositrici ed al criterio di correlazione da esso attuato – nella prospettiva di cui all’art. 53 Cost. (che “è il presupposto ed il limite del potere impositivo dello Stato e, al tempo stesso, del dovere del contribuente di concorrere alle spese pubbliche“: v. C. cost. 10/2015) – tra imposizione fiscale e capacità contributiva. (Senza pretesa di completezza cfr., in tal senso: con riferimento alla specifica agevolazione in rassegna, Cass. 5697/14, 6234/12; 2605/12; 5570/11 ed, altresì, Cass. 12928/13 e 5270/09, con riguardo al profilo della non estensibilità del beneficio di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973 alle operazioni relative a prestiti non superiori ai 18 mesi; nonché, con riferimento ad altra tipologia di agevolazioni fiscali, Cass. 5484/08; 26106/05; 14658/05; 14170/03, 15316/02, 13502/91) .
Come puntualizzato da autorevole dottrina, il principio trova, ancor prima, fondamento nella circostanza che – a salvaguardia dell’equilibrio tra gli interessi che preminentemente si contrappongono nel rapporto tributario (la garanzia dei contribuenti e le esigenze di bilancio dell’ente impositore, di cui possono cogliersi referenti, oltre che nella previsione del già citato art. 53 Cost., rispettivamente, nella riserva di legge sancita dall’art. 23 Cost. e nella previsione dell’art. 81 Cost., in quest’ultima ancor più incisivamente dopo la novella di cui alla l. cost. 1/2012: v. C. cost. 10/15 e 260/90) – l’ambito dell’imposizione è tracciato dal legislatore (in positivo, così come, conseguentemente, in negativo), con compiuta indicazione di oggetti e soggetti tassabili. Cosicché, non diversamente dalle norme impositive, in relazione alle quali è pacificamente escluso che la tassazione possa investire oggetti o soggetti non espressamente indicati dal dato normativo, anche le norme agevolative, per ineludibile simmetria, declinano un catalogo completo, insuscettibile di integrazione che trascenda i confini semantici del dato suddetto.
2.3 – Costituisce, dunque, caposaldo dell’ordinamento tributario il principio secondo cui le norme, che, come quella di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973, riconoscono agevolazioni o benefici fiscali in deroga all’ordinario regime d’imposizione, sono norme ad interpretazione rigida ed anelastica, in quanto rigorosamente legata al dato letterale. Ed è la centralità stessa del criterio nel sistema dell’imposizione, al fine del perseguimento degli equilibri cui l’imposizione deve mirare in ottemperanza ai principi di cui agli artt. 23, 53 e 81 Cost. (cfr. C.cost. 10/2015), a rendere ineludibile la sua osservanza.
Ne discende che, in relazione a dette norme, non può ritenersi ammessa operazione ermeneutica (quale quella attuata da Cass. 5845/11) che, quantunque in ottica di dichiarata interpretazione storico-adeguatrice e costituzionalmente orientata, si spinga oltre il limite del significato scaturente dalla lettera della legge, nella specie pretendendo di ridefinire il requisito soggettivo dell’agevolazione, riportando alla nozione di “banca”, testualmente riferibile all’art. 15 d.p.r. 601/1973, quella di “intermediario finanziario“, ontologicamente affatto eterogenea e nemmeno coincidente sul piano dell’operatività.
Nei confronti di norma eccezionale e, comunque, di “stretta interpretazione”, anche l’interpretazione logico-evolutiva e quella costituzionalmente orientata sono, infatti, precluse, ove, operando in ottica non difforme da quella propria dell’applicazione analogica, inducano ad estendere la sfera di operatività della norma interpretata, in vista di pretesa ratio di norma sovraordinata, ad ipotesi non sussumibile nel relativo specifico significato testuale.
Per di più, data la perdurante evoluzione del mercato del credito nel senso della sua apertura a nuovi operatori (v. sopra p. II n. 4), la tesi in rassegna, finendo con l’ancorare il beneficio al solo presupposto oggettivo del finanziamento, parrebbe dischiudere l’agevolazione a non preventivamente definibile estensione.
VI) Analisi critica della tesi restrittiva.
1. – Il dato normativo ordinario e le regole di relativa interpretazione obbligano dunque, in base a quanto in precedenza esposto, alla conclusione dell’inapplicabilità dell’agevolazione di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973 agli intermediari finanziari.
La tesi restrittiva trova, d’altro canto, elemento di ulteriore, ancorché indiretto, conforto nel rilievo che, quando il legislatore ha inteso estendere l’applicazione dell’agevolazione in oggetto a situazioni non inquadrabili nel relativo dato letterale, lo ha fatto in maniera esplicita. Invero: a) L’art. 2, comma 1 bis, d.l. 220/2004 ha espressamente esteso la norma di esenzione alle operazioni di mutuo relative all’acquisto di abitazioni poste in essere da enti, istituti, fondi e casse previdenziali nei confronti dei propri dipendenti ed iscritti; b) L’art. 1, comma 32, l. 244/2007 (l.f. 2008), ha modificato l’art. 15 d.p.r. n. 601/73, includendo esplicitamente, tra i finanziamenti ammessi al regime agevolato, le operazioni poste in essere dalla Cassa Depositi e prestiti s.p.a. (ed è stato rilevato che quest’ultima circostanza assume peculiare rilievo nel senso prospettato, alla luce del fatto che alla Cassa depositi e prestiti s.p.a. si applicano le stesse disposizioni del t.u.l.b. previste per gli intermediari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del medesimo t.u.l.b..
2.1 – Obbligata in funzione del dato normativo ordinario e delle regole ermeneutiche, l’interpretazione restrittiva dell’art. 15 d.p.r. 601/1973 resta, tuttavia, da valutare sul piano della tenuta costituzionale.
Pur non condivisibile nella conclusione, Cass. 5845/11 induce, infatti, plausibilmente a riflettere sull’aderenza, ai precetti di cui agli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 15 d.p.r. 601/1973 letto nel senso dell’inapplicabilità delle agevolazioni ivi previste agli intermediari finanziari.
2.2 – La questione è rilevante ai fini della decisione della presente controversia.
Questa non è, infatti, suscettibile di risoluzione in via preliminare né alla stregua dell’eccezione di giudicato conclusivamente proposta dalla società controricorrente, per i motivi già puntualmente esposti a p. 4 dell’ordinanza interlocutoria di rimessione alle Sezioni unite (l’incidenza del preteso giudicato su controversia diversa per petitum e causa petendi e solo coincidente per questione in diritto trattata) né in funzione delle questioni dalla suddetta società introdotte quali motivi di ricorso incidentale, giacché questo, oltre ad essere dichiaratamente concepito come condizionato all’accoglimento del ricorso dell’Agenzia, tale è oggettivamente, quale ricorso proposto dalla parte integralmente vittoriosa (cfr. Cass., ss.uu. 7381/13, 23318/09, 5456/09, Cass. 4619/15).
D’altro canto – mentre si è, in precedenza (v. p. V, specie sub n. 2.2 e 2.3), riscontrata l’impossibilità di assorbire la prospettata aporia in via di pura interpretazione – appare intuitivo che la decisione della questione in rassegna assume rilevanza risolutiva ai fini della controversia concreta, dal momento che, sul presupposto dell’interpretazione restrittiva della norma, l’agevolazione di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973, potrebbe ritenersi applicabile alla fattispecie in esame solo in esito a declaratoria d’incostituzionalità della norma nei termini indicati.
2.3 – La questione si rivela, peraltro, non manifestamente infondata.
In proposito, occorre, in primo luogo, rilevare che, secondo concezione ormai ampiamente affermata in dottrina e nella giurisprudenza costituzionale, la libertà di concorrenza – consistente nell’eguale possibilità riconosciuta a tutti i soggetti di attivarsi materialmente e giuridicamente nello stesso settore, confrontandosi vicendevolmente e sottoponendo al giudizio del mercato la valutazione ed il conseguente successo delle relative iniziative costituisce diritto coessenziale alla libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost. e ad essa immanente.
Ciò posto, deve considerarsi che gli intermediari finanziari – benché soggetti morfologicamente diversi dalla banche ed a queste non pienamente equiparabili sul piano funzionale (risultando, come detto, abilitati, oltre all’attività creditizia, alla sola attività di raccolta del “risparmio di rischio”; essendo loro, invece, preclusa la raccolta del risparmio pubblico “a vista” o “rimborsabile” e, cioè, con obbligo di restituzione) – operano, per quanto riguarda l’ambito di attività comune con le banche, sostanzialmente nei medesimi termini e, soprattutto, incidendo sullo stesso “mercato”.
Ne consegue che il diverso trattamento riconosciuto a banche ed intermediari finanziari in rapporto alla previsione di cui all’art. 15 d.p.r. 601/1973 – essendo incerto che possa trovare giustificazione nelle suindicate differenze e nei riflessi che la rilevata divaricazione sul piano della provvista possa eventualmente produrre sulle complementari attività creditizie – si rivela di non sicura conformità ai precetti di cui agli artt. 3 e 41 Cost. ed al relativo combinato. Ciò, con peculiare riferimento all’effetto distorsivo indotto, sul regime di concorrenza nel mercato di settore, dal vantaggio derivante alle banche dal minor costo del prodotto offerto, riferibile, non a specifici meriti imprenditoriali, ma a scelta fiscale del legislatore (per fattispecie non priva di analogia, cfr., con riferimento al solo parametro di cui all’art. 3 Cost., C. cost. 187/1995).
La questione merita, dunque, di essere rimessa al vaglio del Giudice delle leggi, cui precipuamente spetta il compito di garantire che diversificazioni di regime tributario, in particolare per tipologia di contribuenti, siano supportate da giustificazioni adeguate in rapporto al profilo della coerenza interna del criterio impositivo e non si risolvano in arbitraria discriminazione (cfr. C. cost. 10/15, 201/14, 116/13, 223/12).
VII) Conclusioni.
Alla stregua delle considerazioni che precedono ed in conclusione, deve dichiararsi la rilevanza e la non manifesta infondatezza, per contrasto con gli artt. 3 e 41, comma 1, Cost., della questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 d.p.r. 601/1973, nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’agevolazione fiscale, prevista per i finanziamenti a medio o lungo termine effettuati dalle banche, anche ai medesimi finanziamenti posti in essere da intermediari finanziari.
Va, conseguentemente, disposta l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, visti gli artt. 134 Cost. e 23 l. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 d.p.r. 601/1973, per contrasto, nei sensi di cui in motivazione, con gli artt. 3 e 41 Cost..
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio.
Dispone, inoltre, che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti e comunicata al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.