Corte Cost., 28 maggio 2014, n. 145 (testo)
SENTENZA N. 145
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7-bis, commi 3 e 5, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 23 agosto 2013, depositato in cancelleria il 28 agosto 2013 ed iscritto al n. 84 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 23 agosto 2013 e depositato il 28 agosto 2013, la Regione siciliana ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-bis, commi 3 e 5, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015) – come convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 25 giugno 2013, n. 147 – in riferimento agli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, in relazione all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), all’art. 43 del medesimo r.d.lgs. n. 455 del 1946 ed al principio di leale collaborazione.
La ricorrente premette che l’impugnato art. 7-bis del d.l. n. 43 del 2013, oltre a prevedere la concessione di contributi ai privati per la ricostruzione, la riparazione o l’acquisto sostitutivo di immobili, prioritariamente adibiti ad abitazione principale, danneggiati o distrutti nel sisma che ha colpito l’Abruzzo nel 2009 (comma 1), e l’incremento del fondo istituito dall’art. 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica) – convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307 –, per interventi strutturali di politica economica (comma 4), dispone al comma 3 che le misure dell’imposta fissa di bollo stabilite in euro 1,81 ed in euro 14,62 siano rideterminate, rispettivamente, in euro 2,00 ed in euro 16,00 e, al comma 5, che agli oneri derivanti dall’art. 7-bis si provveda con le maggiori entrate derivanti dall’aumento previsto dal comma 3. Tali disposizioni troverebbero applicazione anche in Sicilia, in virtù dell’inciso «ovunque ricorrano», contenuto nel citato comma 3.
1.1.– Anzitutto, la Regione siciliana lamenta che né le disposizioni impugnate né il contesto normativo in cui sono inserite contemplino una clausola di salvaguardia che rimetta l’applicazione delle norme introdotte alle procedure di recepimento previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione in modo da garantire che il mantenimento alla Regione siciliana del gettito dell’imposta di bollo, come rimodulata, o, in subordine, il contributo della stessa al rifinanziamento della ricostruzione privata nei Comuni abruzzesi interessati dal sisma del 2009 avvengano nel rispetto dei rapporti e dei vincoli che gli statuti speciali stabiliscono nei rapporti tra lo Stato e le Regioni ad autonomia speciale. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 43 dello statuto della Regione siciliana e del principio di leale collaborazione, atteso che, quando vengono sottratti alla Regione siciliana tributi di sua spettanza, occorrerebbe il raggiungimento di un’intesa sulle modalità di compensazione del relativo gettito. In via subordinata, la Regione deduce la violazione del principio di leale collaborazione, previsto dalle norme statutarie e di attuazione per i casi in cui vengano individuate nuove entrate tributarie dal legislatore statale.
1.2.– La Regione siciliana, inoltre, deduce la violazione degli artt. 36 e 37 del proprio statuto speciale nonché dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965.
A suo avviso, le disposizioni impugnate destinerebbero illegittimamente per il periodo 2013-2019 il gettito della rideterminata imposta fissa di bollo alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti dello Stato specificate nelle legge stessa, trattandosi di tributo di spettanza regionale.
Secondo la ricorrente, la “rideterminazione” dell’imposta fissa di bollo non sarebbe riconducibile al concetto di nuova entrata tributaria quale esplicitato dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto non introdurrebbe alcun nuovo tributo e non determinerebbe una modificazione di aliquote. Dunque, non sarebbe integrata l’eccezione prevista dai parametri invocati all’integrale spettanza del gettito del tributo alla Regione siciliana.
In via subordinata, quest’ultima nega che la destinazione del maggior gettito per il periodo 2013-2019 risponda a specifiche necessità dello Stato, nemmeno indicate per gli anni successivi al 2019. Difetterebbe, pertanto, uno dei presupposti necessari per derogare al principio di integrale spettanza regionale delle entrate riscosse nell’ambito del territorio siciliano.
2.– Con atto depositato il 24 settembre 2013, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza della questione proposta dalla Regione siciliana.
2.1.– Ad avviso del resistente, la questione sarebbe inammissibile, in quanto le norme censurate riserverebbero allo Stato esclusivamente il maggior gettito derivante dall’aumento dell’imposta di bollo, senza incidere sulla misura delle entrate ordinariamente spettanti alla Regione. Questa, peraltro, non avrebbe concretamente dimostrato che l’intervento normativo si traduca in un danno per la finanza regionale tale da alterare il rapporto tra i complessivi bisogni della Regione e l’insieme delle risorse per farvi fronte. Di conseguenza la norma censurata non avrebbe diretta capacità lesiva.
Inoltre, la riserva erariale sarebbe rispettosa dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, che, pur riconoscendo la spettanza alla Regione di tutte le entrate tributarie ricosse nell’ambito del suo territorio, fa salve le «nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime».
2.2.– Ad avviso del Presidente del Consiglio, la questione sarebbe comunque infondata nel merito. Infatti, nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato» e di «perequazione delle risorse finanziarie» – ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione – il legislatore statale ben potrebbe disciplinare i tributi da esso istituiti, anche se il relativo gettito sia di spettanza regionale, purché non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte. Gli artt. 36 dello statuto della Regione siciliana e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 consentono di derogare alla generale spettanza alla Regione delle entrate tributarie riscosse nel suo territorio se si tratti di entrate nuove destinate dalla legge alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nella legge medesima. Le norme censurate integrerebbero proprio la descritta fattispecie derogatoria, destinando, per un determinato periodo di tempo, il maggior gettito dell’imposta fissa di bollo ad «assicurare la prosecuzione degli gli interventi per la ricostruzione privata nei territori della Regione Abruzzo, colpiti dal sisma del 6 aprile 2009». Ciò senza menomare l’autonomia finanziaria regionale, trattandosi di maggiori entrate insuscettibili di determinare effetti negativi in termini di minori introiti.
Secondo il resistente, inoltre, la legittimità delle norme impugnate discenderebbe anche dalla ratio solidaristica da esse sottesa, fondata sugli artt. 2, 3 e 5 Cost. Nell’esercizio della competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. il legislatore statale ben potrebbe imporre indistintamente a tutte le autonomie territoriali contributi solidaristici a fronte di eventi calamitosi, anche per garantire, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che proprio da detti eventi possono essere compromessi. E ciò potrebbe disporre senza la necessità di ricorrere a successive mediazioni e regolazioni finanziarie tramite specifiche norme di attuazione, come accade per la contribuzione al risanamento del debito pubblico.
Ad avviso della difesa erariale, poi, non sussisterebbe alcuna violazione del principio di leale collaborazione. Essa imporrebbe la previsione di un procedimento che contempli la partecipazione della Regione siciliana solo nel caso in cui la determinazione in concreto del gettito derivante dalle nuove norme fosse complessa, situazione che non ricorrerebbe nella fattispecie.
Infine, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la mancanza di una clausola di salvaguardia – che avrebbe la specifica funzione di rendere applicabile il decreto agli enti ad autonomia differenziata solo a condizione che ne siano rispettati gli statuti speciali ed i percorsi procedurali ivi previsti per la modificazione delle norme di attuazione statutaria – non comporterebbe l’automatica violazione delle prerogative statutarie ove detto decreto risulti altrimenti rispettoso delle stesse, come nella fattispecie, con conseguente inconferenza e pretestuosità delle doglianze riferite alla violazione dell’art. 43 dello statuto della Regione siciliana e del principio di leale collaborazione.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso in epigrafe la Regione siciliana ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-bis, commi 3 e 5, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015) – come convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71 – in riferimento agli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, in relazione all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), all’art. 43 del medesimo r.d.lgs. n. 455 del 1946 ed al principio di leale collaborazione.
1.1.– L’impugnato art. 7-bis del d.l. n. 43 del 2013, oltre a prevedere la concessione di contributi ai privati per la ricostruzione, la riparazione o l’acquisto sostitutivo di immobili, prioritariamente adibiti ad abitazione principale, danneggiati o distrutti nel sisma che ha colpito l’Abruzzo nel 2009 (comma 1), e l’incremento del fondo istituito dall’art. 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica) – convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307 –, per interventi strutturali di politica economica (comma 4), dispone al comma 3 che le misure dell’imposta fissa di bollo stabilite in euro 1,81 ed in euro 14,62 siano rideterminate, rispettivamente, in euro 2,00 ed in euro 16,00 e, al comma 5, che agli oneri derivanti dall’art. 7-bis si provveda con le maggiori entrate derivanti dall’aumento previsto dal comma 3.
Quanto all’art. 43 dello statuto ed al principio di leale collaborazione, la ricorrente lamenta che né le disposizioni impugnate né il contesto normativo in cui sono inserite contemplino una clausola di salvaguardia che ne rimetta l’applicazione alle procedure di recepimento previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione in modo da garantire che il mantenimento alla Regione siciliana del gettito dell’imposta di bollo, come rimodulata, o, in subordine, il contributo della stessa alla ricostruzione privata nei Comuni abruzzesi interessati dal sisma del 2009 avvengano nel rispetto dei vincoli che gli statuti speciali stabiliscono nei rapporti tra lo Stato e le Regioni e dell’intesa sulle modalità di compensazione del gettito sottratto. In via subordinata, la ricorrente deduce la violazione del principio di leale collaborazione contemplato dalle norme statutarie e di attuazione per i casi in cui vengano previste dal legislatore statale nuove entrate tributarie.
Inoltre, la Regione siciliana lamenta la violazione degli artt. 36 e 37 dello statuto nonché dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto la rideterminazione dell’imposta fissa di bollo operata dalla normativa censurata non sarebbe riconducibile al concetto di nuova entrata tributaria quale esplicitato dalla giurisprudenza costituzionale, non introducendo alcun nuovo tributo né determinando una modificazione di aliquote. Dunque, non sarebbe integrata l’eccezione prevista dai parametri invocati all’integrale spettanza regionale del gettito del tributo. In via subordinata, la ricorrente nega che la destinazione del maggior gettito per il periodo 2013-2019 risponda a specifiche necessità dello Stato. Peraltro, la destinazione non sarebbe neppure indicata per gli anni successivi al 2019. Difetterebbe, pertanto, uno dei presupposti necessari per derogare al principio di integrale spettanza regionale delle entrate riscosse nell’ambito del territorio siciliano.
2.– Preliminarmente deve essere dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-bis, commi 3 e 5, del d.l. n. 43 del 2013 in riferimento all’art. 43 dello Statuto ed al principio di leale collaborazione.
Nel lamentare che le disposizioni censurate non siano state accompagnate dalla previsione di una clausola di salvaguardia che ne rimetta l’applicazione alle procedure di recepimento previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, la ricorrente non tiene conto che le norme di attuazione sono già state adottate. In particolare, l’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 stabilisce che «[…] spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificata nelle leggi medesime».
Non chiarendo in che modo la previsione di una clausola di salvaguardia avrebbe potuto impedire il preteso vulnus all’art. 43 dello statuto ed all’invocato principio di leale collaborazione, la Regione non ha dunque illustrato adeguatamente le ragioni per le quali le disposizioni impugnate avrebbero violato i parametri costituzionali invocati.
3.– Non sono invece fondate le eccezioni di inammissibilità del Presidente del Consiglio dei ministri in ordine al preteso difetto di capacità lesiva della riserva allo Stato del maggior gettito derivante dall’aumento dell’imposta di bollo, dal momento che la misura delle entrate ordinariamente spettanti alla Regione rimarrebbe inalterata.
Il regime di autonomia finanziaria previsto dagli artt. 36 dello statuto di autonomia e 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 assicura alla Regione siciliana, in generale e salvo eccezioni, l’integrale spettanza del gettito dei tributi erariali riscossi nel suo territorio. Pertanto, la riserva allo Stato del maggior gettito derivante dalle norme impugnate – pur non determinando un depauperamento delle risorse finanziarie disponibili per la Regione – ove disposta al di fuori dei limiti statutari sarebbe comunque lesiva dell’autonomia regionale, indipendentemente dal fatto che non incida sul rapporto tra i bisogni dell’ente e le risorse per farvi fronte.
Afferisce al merito della questione di legittimità costituzionale stabilire se la clausola di riserva erariale sia rispettosa dei vincoli statutari in subiecta materia.
4.– Deve essere scrutinata nel merito la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-bis, commi 3 e 5, del d.l. n. 43 del 2013 in riferimento agli artt. 36 e 37 dello statuto, in relazione all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, sia sotto il profilo del difetto del carattere di novità dell’entrata tributaria, sia, in subordine, sotto il profilo della destinazione specifica del suo maggior gettito.
4.1.– A tal fine è opportuno premettere che, come già chiarito da questa Corte, «l’evocato art. 36, primo comma, dello statuto, in combinato disposto con l’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 indica le seguenti tre condizioni per l’eccezionale riserva allo Stato del gettito delle entrate erariali: a) la natura tributaria dell’entrata; b) la novità di tale entrata; c) la destinazione del gettito “con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime”» (sentenza n. 241 del 2012).
Quanto alla prima condizione, nemmeno la ricorrente mette in dubbio la natura tributaria dell’imposta di bollo.
In relazione alla seconda, invece, la Regione nega il carattere di novità dell’entrata, determinata dagli incrementi di due misure dell’imposta stessa. A suo avviso, non sarebbe legittima la deroga all’integrale spettanza regionale del relativo gettito, atteso che la normativa impugnata opererebbe una mera rideterminazione dell’imposta fissa di bollo, non riconducibile al concetto di nuova entrata tributaria.
Quanto al terzo requisito, la ricorrente contesta che l’entrata tributaria in esame sia vincolata a particolari finalità contingenti o continuative dello Stato e lamenta che, comunque, non venga indicata la destinazione del maggior gettito per gli esercizi finanziari successivi al 2019.
4.2.– La censura relativa all’assenza del requisito di novità dell’entrata tributaria consistente nell’aumento di due misure dell’imposta fissa di bollo, introdotto dall’art. 7-bis, comma 3, del d.l. n. 43 del 2013, non è fondata.
Il consolidato orientamento di questa Corte è nel senso che «per nuova entrata tributaria, di cui all’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, contenente le norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia finanziaria, deve intendersi non un tributo nuovo, ma solo un’entrata derivante da un atto impositivo nuovo, in mancanza del quale l’entrata non si sarebbe verificata, a nulla rilevando che il nuovo atto impositivo introduca un tributo nuovo o ne aumenti soltanto uno precedente (sentenza n. 49 del 1972 e, più recentemente, ex plurimis, sentenze n. 348 del 2000 e n. 143 del 2012)» (sentenza n. 265 del 2012).
Per aversi novità dell’entrata, è sufficiente il verificarsi di «un “incremento di gettito” (sentenza n. 198 del 1999), cioè una entrata aggiuntiva, rilevando la novità del provento, non la novità del tributo» (sentenza n. 241 del 2012).
Nella fattispecie, l’art. 7-bis, comma 3, del d.l. n. 43 del 2013, aumentando due misure dell’imposta fissa di bollo, determina proprio un incremento di gettito, un’entrata aggiuntiva che senza tale disposizione non si sarebbe verificata.
4.3.– Mentre il requisito della novità dell’entrata – previsto quale ipotesi di deroga alla regola generale contenuta nel combinato disposto dell’art. 36 dello statuto e dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965 – rapporta in modo univoco il precetto costituzionale alla fattispecie in esame, con riguardo invece alla destinazione del gettito della nuova entrata a particolari finalità contingenti o continuative dello Stato, lo scrutinio delle censure in riferimento ai medesimi parametri costituzionali si configura in modo differenziato, in relazione a tre diversi segmenti temporali afferenti alla vigenza dell’incremento tributario.
Il primo segmento temporale riguarda l’esercizio 2013, nel quale il nuovo gettito viene destinato all’incremento di un fondo per interventi strutturali di politica economica istituito dall’art. 10, comma 5, del d.l. n. 282 del 2004 «al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale»; il secondo prevede interventi per l’edilizia privata nei territori della Regione Abruzzo, colpiti dagli eventi sismici del 2009, in relazione agli esercizi 2014-2019; il terzo attiene a quelli successivi, nei quali non è prevista alcuna destinazione.
4.3.1.– La questione di legittimità costituzionale proposta in riferimento ai richiamati parametri è fondata con riguardo alla destinazione del maggior gettito 2013 all’incremento di un fondo istituito per interventi strutturali di politica economica.
Come emerge dalla lettura congiunta dei commi 4 e 5 dell’art. 7-bis, la destinazione al fondo istituito «al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale», identificandosi con le finalità generali di istituzione del fondo stesso al cui incremento è volta, non può considerarsi specifica.
La mancata integrazione della terza delle condizioni di riserva allo Stato delle entrate in questione rende quindi la devoluzione erariale del maggior gettito non conforme allo statuto speciale ed alle relative norme di attuazione.
4.3.2.– Viceversa, quanto alla destinazione della nuova entrata alla concessione di contributi statali ai privati per la ricostruzione, riparazione o acquisto sostitutivo di immobili, prioritariamente adibiti ad abitazione principale, danneggiati o distrutti nel sisma che ha colpito l’Abruzzo nel 2009, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-bis del d.l. n. 43 del 2013 non è fondata.
In questo caso, infatti, il requisito della specifica destinazione del maggior gettito dell’imposta di bollo realizzato nel periodo 2014-2019 emerge con chiarezza dalla lettura congiunta dei commi 1 e 5 della predetta disposizione, poiché la nuova entrata viene espressamente finalizzata alla copertura degli oneri rappresentati dai contributi per far fronte alle esigenze dell’edilizia privata derivanti dal sisma.
4.3.3.– Infine, la questione di legittimità costituzionale proposta dalla Regione siciliana non è fondata quanto alla mancata indicazione della destinazione del maggior gettito per il periodo successivo all’esercizio 2019.
Destinando «le maggiori entrate derivanti dal comma 3» alla copertura degli oneri nascenti dall’art. 7-bis – che sono esattamente una spesa di 197,2 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2019 per i contributi di cui al comma 1 e l’incremento del fondo statale di cui al comma 4 per l’importo di 98,6 milioni di euro per l’anno 2013 – il legislatore ha, sì, riservato allo Stato il maggior gettito, ovunque conseguito, scaturente dall’aumento delle due misure dell’imposta di bollo, ma ciò ha disposto soltanto per il lasso temporale 2013-2019.
La censura regionale muove dunque da un presupposto ermeneutico errato, ossia che per gli anni successivi al 2019 il maggior gettito derivante dall’aumento previsto dal censurato comma 3 continui ad essere riservato allo Stato.
Non rinvenendosi nelle disposizioni impugnate elementi che inducano ad avvalorare tale interpretazione, si deve concludere che per quell’epoca non operi più il regime derogatorio alla regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 36 dello statuto e 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, regola che si riespande automaticamente, senza necessità di un’esplicita previsione, in applicazione dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, secondo cui «Le leggi […] che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre […] i tempi in esse considerati».
5.– In definitiva, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-bis, commi 3 e 5, del d.l. n. 43 del 2013 in riferimento agli artt. 36 e 37 dello statuto della Regione siciliana, in relazione all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, è fondata solo per la parte in cui riserva allo Stato il maggior gettito tributario riscosso nell’anno 2013 nell’ambito del territorio della Regione siciliana.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7-bis, commi 3 e 5, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015) – convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71 – nella parte in cui riserva allo Stato il maggior gettito tributario derivante da tali commi riscosso nell’anno 2013 nell’ambito del territorio della Regione siciliana;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7-bis, commi 3 e 5, del d.l. n. 43 del 2013 – convertito, con modificazioni, dalla legge n. 71 del 2013 – promossa dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) – convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – ed al principio di leale collaborazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
(fonte www.cortecostituzionale.it)