201410.28
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Diritto tributario e benessere sociale

«Parteciperei solo per capire come sia possibile mettere nella stessa frase le parole “benessere” e “diritto tributario”»: così ha esclamato un mio caro amico quando gli ho comunicato che avrei tenuto un seminario su questo tema. I cattivi ricordi dell’esame universitario, riemersi nella sua memoria dalle nebbie del passato, devono averlo condizionato non poco nella sua valutazione.

L’aneddoto descrive in maniera icastica quanto negativamente sia percepita la materia tributaria nel sentire comune. Significativi sono gli episodi tratti dalla cronaca. «Morto l’uomo che si era dato fuoco a Bologna», «Bergamo, ore di paura. Alla fine il sequestratore si arrende», «Muore di infarto davanti allo sportello di Equitalia», «Modenese riceve cartella Equitalia: scomparso da sette giorni» sono alcuni dei titoli di apertura dei quotidiani nazionali. Le notizie su queste tragedie sono scandite da approfondimenti giornalistici più leggeri, come quello intitolato «Tra gli italiani cresce l’ansia da Fisco. Superarla con l’intelligenza emotiva?».

È vero che la crisi economica ha accentuato questa percezione negativa: nel rapporto How’s Life? 2013 [1] dell’OCSE si legge che il grado di soddisfazione degli Italiani in merito alle proprie condizioni di vita è diminuito del 12% tra il 2007 e il 2012, mentre il Bel Paese è scivolato al 29° posto in una graduatoria che vede coinvolti (solo) 35 stati.

Ciononostante il sentimento di avversione che suscita la fiscalità nell’uomo medio è una costante, come confermano storia e letteratura. Quale efficace esempio tratto dalla prima è sufficiente richiamare alla mente le parole di Tacito: ne «La Germania» [2], egli ricorda che, come segno dell’antica alleanza con i Romani, alla popolazione germanica dei Batavi spetta «un glorioso privilegio» perché «non subiscono l’umiliazione dei tributi né le vessazioni degli esattori: esenti da gravami e contribuzioni, sono serbati per il solo utilizzo in battaglia, come armi di offesa e di difesa». Dalla seconda, come non menzionare le parole di Jacques Prévert [3]:

Le ministère des Finances devrait s’appeler ministère de la Misère puisque le ministère de la Guerre ne s’appelle pas ministère de la Paix.

Lo stesso Luigi Einaudi [4] scriveva

Gli economisti ebbero nel secolo scorso il torto di aggravare la propensione ad interpretare la parola “imposta” nel senso di peso o di dolore con la malaugurata collocazione che essi fecero, per ragioni di euritmia architettonica, della discussione delle imposte nella quarta parte dei loro trattati. Produzione, distribuzione, circolazione e consumazione della ricchezza: ecco la classica quadripartizione del dramma economico […]. I primi tre atti del dramma erano gli atti creativi. […] Poi veniva il diluvio. Il consumo distruggeva e, nell’atto di consumo, aveva luogo una lotta intestina tra gli uomini, i quali pretendevano di consumare tutto quello che avevano prodotto, e lo Stato il quale voleva portare via loro una parte per provvedere ai consumi pubblici. Due idee-forza si sprigionano da questa architettura accademica: che l’imposta sia distruzione e che essa sia distruzione di quel che altri, ha creato.

Anche se le espressioni «benessere» e «diritto tributario» suonano ai più dissonanti, questo stridore è solo apparente. Per tentare di dimostrare ciò, si può partire dal loro significato.

Il «benessere» è definito dal vocabolario Treccani.it come «stato felice di salute, di forze fisiche e morali», «condizione prospera di fortuna, agiatezza» ovvero «sensazione soggettiva di vita materiale piacevole». Il concetto di «benessere» è uno dei capisaldi delle scienze economiche, declinato sia nella sua dimensione individuale (cfr. curve di indifferenza in microeconomia) sia in quella collettiva (cfr. l’economia del benessere nel pensiero di Pigou e Pareto).

Garantire il benessere sociale è lo scopo del «diritto tributario»: questo settore dell’ordinamento giuridico riunisce le regole in base alle quali la ricchezza dei consociati viene trasferita alle organizzazioni pubbliche cui è demandato il compito di fornire servizi alla collettività (sanità, istruzione, sicurezza, difesa ecc.). Quando si vuole spiegare questa definizione al di fuori della ristretta cerchia dei cultori della materia, solitamente si ricorre a similitudini.

La spesa del governo è, in riguardo agli individui di una grande nazione, come la spesa d’amministrazione riguardo ai comproprietari di un grande patrimonio, i quali sono tutti obbligati di contribuirvi in proporzione ai loro rispettivi interessi nel medesimo.

Così scriveva Adam Smith [5]. Un frequente accostamento è quello tra sistema tributario e condominio. Questa scelta è forse quella più vicina alla realtà delle cose (si pensi ai numerosi casi di amministratori infedeli che allietano le giornate dei condomini vittime delle loro ruberie), ma porta con sé un retrogusto amaro. Più rasserenante sembra il paragone con gli amici in gita che, per spuntare condizioni economicamente più vantaggiose, acquistano i biglietti del treno come gruppo anziché singolarmente. Allo stesso modo i consociati destinano parte della propria ricchezza al finanziamento di servizi comuni.

Tra contribuenti e organizzazioni pubbliche esiste un rapporto sinallagmatico: sui primi incombe un dovere inderogabile di solidarietà economica, mentre sulle seconde grava il compito di garantire il benessere della collettività (cfr. art. 2 Cost.). Luigi Einaudi [6] affermava che

Mercé l’imposta, lo Stato crea l’ambiente giuridico e politico nel quale gli uomini possono lavorare, organizzare, inventare produrre. […] Non perciò si afferma che tutto il prodotto sociale, tutto il reddito nazionale sia di spettanza dello Stato. Si afferma soltanto che esiste una distribuzione del reddito nazionale annuo che è l’ottima fra tutte: una distribuzione grazie alla quale lo Stato riceve l’imposta, il lavoratore il salario, il risparmiatore l’interesse, l’imprenditore il profitto e il proprietario la rendita; ed ognuno riceve quel che è suo, quel che fu creato da lui, quel che è necessario egli abbia affinché la sua partecipazione all’opera comune sia la massima e la più efficace.

Esprimeva la medesima linea di pensiero anche Ezio Vanoni [7]:

Organizzazione economica ed organizzazione politica raggiungono il proprio fine quando creano le condizioni perché l’uomo sia se stesso e possa attuare il proprio destino di perfezione in piena responsabilità e libertà. Le vie per la liberazione dell’individuo dalla miseria e dagli ostacoli materiali che lo inceppano sono di tempo in tempo diversi. Ma il fine di ogni azione nella società resta per noi immutabile: fare in modo che ogni uomo possa liberamente tendere a realizzare la pienezza di vita che risponde alla sua natura, e alla chiamata divina che lo sospinge.

E ancora secondo Vanoni [8]:

Dalla Rivoluzione Francese e dalla successiva rielaborazione di dottrine e di istituti sorge la moderna imposta. Giusto contemperamento delle imposte indirette e dirette, rispetto dei redditi minimi, rapporto diretto alle ricchezze dei singoli, la caratterizzano da un punto di vista economico: i canoni della certezza dei tributi e della giustizia tributaria, il requisito dell’approvazione delle leggi di finanza da parte degli organi rappresentativi, mentre la garantiscono dall’arbitrio, la identificano dal punto di vista giuridico: la relazione di necessità colla esplicazione dell’attività pubblica la giustificano in linea etica. Ora come è possibile ritenere ancora che un istituto il quale si presenta con questi caratteri, abbia in sé tali elementi da dover essere inteso sempre in senso contrario all’interesse dello Stato?.

Si dirà che queste sono soltanto speculazioni teoriche, per di più piuttosto datate. La drammatica attualità di tali considerazioni è invece confermata da un significativo episodio avvenuto negli U.S.A. nell’ottobre 2013, quando sul sito della Casa Bianca è stato inserito un avviso dal seguente tenore: «Because Congress did not fulfil its responsibility to pass a budget, much of the federal government is shut down». Il mancato accordo sul bilancio tra il Presidente Obama e i due rami del Parlamento – uno a maggioranza repubblicana, l’altro a maggioranza democratica – ha causato la chiusura (il cosiddetto shutdown) di tutti gli uffici federali ritenuti non essenziali, determinando di fatto la sospensione di molti servizi per i cittadini. Nessun (accordo politico sul) finanziamento, nessun servizio pubblico.

L’obiezione è inoltre tanto facile quanto infondata, non soltanto in ragione dell’indiscussa autorevolezza degli studiosi che hanno formulato le riflessioni sopra citate, ma anche per il ruolo che essi hanno concretamente rivestito nella vita politica italiana. Uno dei personaggi che ha maggiormente inciso sull’evoluzione del sistema tributario italiano – apportando il proprio contributo sia attraverso la propria attività scientifica sia con l’azione di governo – è proprio Ezio Vanoni (Morbegno 3 agosto 1903 – Roma 16 febbraio 1956). Valtellinese, nel 1925 si laurea in giurisprudenza discutendo una tesi su natura e interpretazione delle leggi tributarie sotto la guida di Benvenuto Griziotti, il fondatore della cosiddetta “Scuola di Scienze delle Finanze di Pavia”. Dedica gli anni successivi alla docenza universitaria e alla ricerca scientifica, pubblicando svariate monografie, tra le quali in particolare si segnalano «Natura ed interpretazione delle leggi tributarie» (1932), «Osservazioni sul concetto di reddito in finanza» (1932), «La dichiarazione tributaria e la sua irretrattabilità» (1937), «Lezioni di diritto finanziario e scienza delle finanze» (1937), «Problemi dell’imposizione degli scambi» (1939), «L’imposta personale sul reddito e gli utili di società non distribuiti» (1943). Tra il 1943 e il 1944 contribuisce all’elaborazione del programma di politica economica del cattolicesimo sociale enunciati nel cosiddetto «Codice di Camaldoli». Nel 1946 si apre la sua stagione politica. Eletto nell’Assemblea Costituente, partecipa ai lavori della «Commissione dei 75» (così denominata perché composta da 75 deputati in rappresentanza delle forze politiche elette nell’Assemblea) per la stesura del progetto di carta costituzionale da sottoporre all’approvazione dell’Assemblea, contribuendo in particolare alla formulazione delle norme in materia tributaria:

  • l’art. 23 Cost., ove si pone il principio di riserva di legge per le prestazioni patrimoniali imposte, dando indiretta applicazione al principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.

Art. 23 – Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

  • l’art. 53 Cost., con il quale si cristallizzano il principio di capacità contributiva (comma 1) e il principio di progressività del sistema tributario (comma 2): il primo identifica nelle manifestazioni oggettive di ricchezza (reddito, patrimonio e consumo) e pone un limite al dovere di solidarietà sociale gravante sui singoli consociati nel concorso al finanziamento delle spese pubbliche ex art. 2 Cost., mentre il secondo, in ossequio al principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3, comma 2, Cost., fa sì che i tributi nel loro insieme siano disegnati in maniera tale da gravare in misura superiore sui contribuenti che manifestano una maggiore capacità contributiva (in concreto, un tributo può dirsi progressivo quando l’aliquota aumenta con il crescere della base imponibile), così promuovendo la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona nell’ambito della comunità sociale

Art. 53 – 1. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. 2. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

  • l’art. 81 Cost., che – nel suo testo originario (cfr. modifiche introdotte dall’art. 1, l. cost. 20 aprile 2012, n. 1) – vieta di stabilire nuovi tributi e nuove spese con la legge di bilancio (comma 3) e pone a garanzia del pareggio di bilancio l’obbligo di indicare i mezzi di copertura idonei a far fronte a nuove e maggiori spese determinate da altra legge (comma 4)

Art. 81 Cost. – 1. Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. 2. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. 3. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. 4. Ogni altra legge che importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.

Senatore per la Democrazia Cristiana dal 1948, ricopre il ruolo di Ministro delle Finanze (1948-1954), Ministro del Tesoro ad interim (1951-1952) e Ministro del Bilancio (1954-1956). Nel 1956 muore dopo aver pronunciato un discorso a Palazzo Madama.

Durante la sua attività politica Ezio Vanoni avvia una riforma strutturale del sistema tributario finalizzata al miglioramento dei rapporti tra consociati e Stato e al risanamento dell’Erario, depauperato non soltanto dalle vicende belliche ma anche – e forse soprattutto – dall’atavica propensione dei contribuenti a sottrarsi al pagamento dei tributi: in un discorso che conserva intatta la sua attualità, Ezio Vanoni [9] osserva che

un certo declassamento della moralità fiscale, […] una legislazione spesso caotica e talvolta ispirata a finalità demagogiche irraggiungibili hanno aggravato notevolmente il fenomeno della evasione fiscale. Fenomeno che oggi [1949 – N.d.A.] si verifica su di una scala preoccupante e che compromette una equa distribuzione dei carichi tributari. In una simile situazione la pressione tributaria diviene vessatoria e veramente insopportabile per gli onesti e per le categorie dei contribuenti che non possono sfuggire all’esatta determinazione dell’imposta per motivi tecnici. […] La evasione […] assume i caratteri di uno strumento di concorrenza sleale, così da compromettere i normali rapporti economici e da spingere sulla strada della frode fiscale una schiera sempre più numerosa di contribuenti. […] Nello Stato moderno, di fronte alla concezione che tutti abbiamo della società e del dovere primo del cittadino di dare la sua solidarietà all’ordinato svolgersi della vita civile […] l’imposta non può essere intesa che come l’espressione del dovere morale e civico, che grava su ognuno di noi, di concorrere al bene della società. Sottrarsi a questo dovere assume le caratteristiche di una vera e sostanziale forma di anarchia, di una negazione delle esigenze prime della convivenza sociale; è come disertare, sicché allo stesso modo con cui circondiamo di disprezzo il disertore che si rifiuta di difendere il proprio Paese di fronte al nemico, così dovremmo circondare di disprezzo l’evasore tributario, quando il tributo fosse equo.

Consapevole della necessità di dover perseguire i propri obiettivi in maniera graduale, mettendo in atto «una sistemazione transitoria […] senza compromettere eccessivamente il gettito delle imposte e senza mettere in pericolo il bilancio nel periodo di transizione” e agendo “con energia, ma con prudenza, frenando impazienze per quanto legittime» [10], Ezio Vanoni avvia la sua paziente opera di riforma agendo su più fronti, non soltanto attraverso la correzione della disciplina legislativa (come avvenne, ad esempio, con l’approvazione della tariffa doganale nel 1950) ma anche risolvendo problemi pratici.

L’intervento più significativo è rappresentato dalla generalizzazione della dichiarazione annuale e unica di tutti i redditi con la l. 11 gennaio 1951, n. 25, recante «Norme sulla perequazione tributaria e sul rilevamento fiscale straordinario»: con la reintroduzione (cfr. d.lgs. luogotenenziale 24 agosto 1945, n. 585) di questo adempimento periodico ha infatti inizio un progressivo cambiamento nel ruolo di entrambi i soggetti coinvolti nel rapporto tributario. Se dall’Unità d’Italia al Secondo Dopoguerra il contribuente è gravato soltanto dell’obbligo di pagare le somme calcolate dall’Amministrazione finanziaria, a partire dagli Anni Cinquanta egli è chiamato a liquidare il tributo dovuto predisponendo allegando e conservando una dettagliata documentazione dei fatti fiscalmente rilevanti. Per far fronte al controllo di una maggiore mole di adempimenti, è avviato un parallelo processo di riorganizzazione dell’Amministrazione finanziaria, realizzata mediante interventi mirati su sedi (cfr. la razionalizzazione della distribuzione territoriale degli uffici), mezzi (cfr. l’introduzione del meccanografico) e persone (cfr. i corsi di formazione per migliorare la preparazione dei funzionari).

La cosiddetta «Riforma Vanoni» ha assunto una portata quasi pedagogica perché, abituando milioni di contribuenti a interagire regolarmente con l’Amministrazione finanziaria, ha preparato il campo alla tassazione di massa avviata negli Anni Settanta. Nella visione vanoniana ciò che deve mutare non è però soltanto la modalità mediante la quale è assolto l’onere tributario o l’organizzazione della Pubblica Amministrazione, ma anche – e soprattutto – la mentalità dei consociati: Ezio Vanoni [11] vuole che l’Italia passi da un sistema fiscale in cui l’imposta è… «imposta» e «si paga bestemmiando lo Stato» ad un nuovo assetto che consenta al contribuente di essere conscio della propria

dignità di partecipe della vita statale [nonché del fatto di] esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana.

Per usare le parole pronunciate dallo stesso giurista in una delle riunioni preliminari alla costituzione dell’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (ANTI) tenutasi a Roma nel 1949, il contribuente

è legato alla vita dello Stato impositore da una sostanziale identità di interessi: la stessa vita dello Stato e la partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato, perché il tributo costituisce fattore di giustizia sociale e in questa identità trova la sua giustificazione in una funzione perequativa.

Secondo Vanoni [12] i tributi sono un mezzo indispensabile dell’agire collettivo, attraverso il quale lo Stato può operare

come organo della stessa sovranità popolare, come espressione genuina dell’autogoverno nazionale. Parlare di odiosità del tributo in sé significa […] disconoscere l’indissolubile vincolo corrente tra esistenza dello Stato ed imposizione. […] L’interesse generale non è la somma degli interessi individuali dei membri della collettività, ma è la risultante degli interessi dei singoli modificati e foggiati dalla convivenza nella società nazionale. […] L’interesse del contribuente, ad ottenere il massimo di utilità individuale col minore sacrificio, non ha alcuna diretta tutela giuridica: esso si risolve nell’accentuazione dell’interesse a partecipare alla vita pubblica, in guisa da influire sul modo di essere dello Stato.

Nella concezione vanoniana [13], l’utilità sociale

è l’utilità di tutti i componenti la società, e soprattutto l’utilità di coloro che non sono in condizioni di contribuire col proprio sacrificio a sostenere la spesa pubblica, perché proprio costoro per la loro debolezza, per la loro incapacità ad appropriarsi la parte di beni che è necessaria per consentire ad essi condizioni di vita degne della loro natura di uomini, sono prima di ogni altro i naturali destinatari dell’azione pubblica.

La rivoluzione copernicana promossa da Ezio Vanoni si traduce nel passaggio dal dovere tributario – un impegno inderogabile di solidarietà economica, adempiuto dagli individui attraverso il trasferimento della ricchezza privata alle organizzazioni pubbliche – alla consapevolezza del diritto tributario, vale a dire del diritto che ha ciascun consociato a vedere garantito il proprio benessere attraverso l’erogazione di servizi alla comunità (sanità, istruzione, sicurezza, difesa ecc.) finanziati mediante un prelievo equo e attuato secondo procedure giuste.

Chi scrive è grata debitrice degli Autori elencati nella seguente bibliografia.

  • De Mita E., Maestri del diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2013
  • Einaudi L., Miti e paradossi della giustizia tributari, Einaudi, Torino, 1938
  • Gallo F., Etica, fisco e diritti di proprietà, in Rass. trib., 2008, 11 ss.
  • Id., La funzione del tributo ovvero l’etica delle tasse, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, 399 ss.
  • Id., Disuguaglianze, giustizia distributiva e principio di progressività, in Rass. trib., 2012, 287 ss.
  • Id., L’evoluzione del sistema tributario e il principio di capacità contributiva, in Rass. trib., 2013, 499 ss.
  • Forte F., Luigi Einaudi e il mercato e il buongoverno, Einaudi, Torino, 1982
  • Lupi R., Le illusioni fiscali, Il Mulino, Bologna, 1996
  • Id., Evasione fiscale, paradiso e inferno, Ipsoa, Milano, 2008
  • Magliulo A., Ezio Vanoni. La giustizia sociale nell’economia di mercato, Edizioni Studium, Roma, 1991
  • Marongiu G., Introduzione, in AA.VV., Lezioni di diritto tributario, IV ed., Giappichelli, Torino, 2013
  • Id., L’imposta personale e progressiva nel pensiero e nell’opera di Ezio Vanoni, in Dir. prat. trib., 2000, I, 511 ss.
  • Santoro A., L’evasione fiscale, Il Mulino, Bologna, 2010
  • Smith A., An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776, trad. it., Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle Nazioni, Mondadori, Milano, 1977
  • Tremonti G., Una nota di politica fiscale: la crisi dell’Irpef e la questione della progressività. Il caso Italia, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1999, 3 ss.
  • Id., Le cause e gli effetti politici della prima crisi globale, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2010, 3 ss.
  • Vanoni E., Opere giuridiche, vol. I, Giuffrè, Milano, 1961
  • Id., Opere giuridiche, vol. II, Giuffrè, Milano, 1962
  • Vigna G., Ezio Vanoni: il sogno della giustizia fiscale, Rusconi, Milano, 1993

[1] Nel rapporto How’s Life? 2013 dell’OCSE si legge che il grado di soddisfazione degli Italiani in merito alle proprie condizioni di vita è diminuito del 12% tra il 2007 e il 2012, mentre il Bel Paese è scivolato al 29° posto in una graduatoria che vede coinvolti (solo) 35 stati (OCSE, How’s life? 2013 – Measuring well-being, 2013, http://www.oecd.org/statistics/howslife.htm).

[2] Tacito, De origine et situ Germanorum (98 d.C.), trad. it., La Germania, Mondadori, Milano, 1991, § 29.

[3] J. Prévert, Histoires, 1963.

[4] L. Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributari, Einaudi, Torino, 1938.

[5] A. Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776, trad. it., Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle Nazioni, Mondadori, Milano, 1977.

[6] L. Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributari, Einaudi, Torino, 1938.

[7] E. Vanoni, La nostra via. Criteri politici dell’organizzazione economica, Seli, Roma, 1947.

[8] E. Vanoni, Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, Cedam, Padova, 1932.

[9] E. Vanoni, Relazione al disegno di legge presentato al Senato della Repubblica, seduta del 26 luglio 1949.

[10] E. Vanoni, Relazione al disegno di legge presentato al Senato della Repubblica, seduta del 26 luglio 1949.

[11] E. Vanoni, Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, Cedam, Padova, 1932.

[12] E. Vanoni, Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, Cedam, Padova, 1932.

[13] Parole pronunciate da Ezio Vanoni nel 1945 e riportate in A. Magliulo, Ezio Vanoni. La giustizia sociale nell’economia di mercato, Edizioni studium, Roma, 1991.

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