202304.03
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Cass., sez. trib., 3 aprile 2023, n. 9199 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MASSAFRA Annachiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero n. 4209 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto:

Da Sanitaservice ASL FG Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Pietro Boria elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, in Roma, Via Tirso n. 26;

-ricorrente-

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

-controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 2002/26/2019, depositata in data 21 giugno 2019;

Udita la relazione svolta in data 22 marzo 2023, dal Consigliere Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera nella camera di consiglio della pubblica udienza ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020 n. 176;

Lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Alberto Cardino ha chiesto il rigetto del ricorso.

Letta la memoria depositata dalla società contribuente che chiede l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1.La Sanitaservice Srl , partecipata al 100% dalla ASL di Foggia, presentava quattro istanze con le quali chiedeva la restituzione di somme versate a titolo di Iva in relazione ad alcune prestazioni da essa rese in favore della detta ASL:

A) istanza del 25 novembre 2016 per la restituzione di Euro 251.922,94 versati a dicembre 2014 per Iva relativa ai mesi di novembre e dicembre 2014 e acconto 2014;

B) istanza del 30 novembre 2016 per la restituzione di Euro 970.098,96 per il versamento Iva relativo ai mesi da gennaio ad ottobre 2014;

C) istanza del 7 dicembre 2016 per la restituzione di Euro 2.335.553,08 per il versamento Iva relativo al periodo da gennaio 2015 a novembre 2016;

D) istanza del 29 novembre 2016 per la restituzione di Euro 5.133.330,08 per i versamenti Iva relativi agli anni dal 2009 al 2013.

2.Avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulle suddette istanze, la società contribuente proponeva separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Foggia che, con sentenza n. 106/05/2018, riunitili, li accoglieva.

3.Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle entrate proponeva appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Puglia che con sentenza n. 2002/26/2019, depositata in data 21 giugno 2019, lo accoglieva.

4.In punto di diritto, per quanto di interesse, il giudice di appello ha osservato che: 1) era fondata l’eccezione preliminare di tardività della presentazione delle istanze di rimborso di cui alle lettere B) e D) attesa la decorrenza del termine biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, non consentendo tale norma – diversamente da quanto ritenuto dalla CTP secondo cui si sarebbe trattato di importi oggettivamente non dovuti in considerazione della mancata soggettività ai fini Iva della società partecipata – alcuna distinzione tra le domande di restituzione del tributo in relazione alla loro causale ed essendo erroneo il richiamo alla ripetizione dell’indebito oggettivo effettuato dal giudice di primo grado; 2) era fondata l’eccezione di difetto di legittimazione della società contribuente a chiedere il rimborso in relazione all’istanza C) essendo stato effettuato il versamento dell’imposta dalla ASL, unica legittimata a chiederne la restituzione, senza che avesse rilievo il richiamo alle particolari modalità del pagamento effettuato dalla cessionaria delle prestazioni ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972 art. 17, ter (c.d. scissione del pagamento); 3) nel merito, era legittimo il silenzio-rifiuto sulla richiesta di restituzione dell’Iva atteso che la Sanitaservice, società in house partecipata interamente dalla Asl Foggia, era soggetto passivo di imposta alla luce di una lettura del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 nella sua interezza (con applicabilità dei commi 2 e 3 stante la natura societaria della contribuente e inapplicabilità dell’ultima parte del comma 5 attesa la mancata erogazione da parte della società di prestazioni sanitarie e la mancata natura di unità sanitaria o azienda ospedaliera della stessa) nonchè degli artt. 9, comma 1, e 13, commi 1 e 2, della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, nella interpretazione datane dalla Corte di giustizia (sentenza 22/2/2018, C-182/17) secondo cui il non assoggettamento all’Iva richiedeva la necessaria ricorrenza congiunta di due condizioni, ovvero dell’esercizio di attività da parte di un ente pubblico e la sussistenza di veste di pubblica autorità, che, nel caso di specie, non si ravvisavano, non potendo la società contribuente essere configurata come una articolazione in senso sostanziale della ASL, e non essendo state attribuite ad essa, avente carattere privatistico, prerogative e poteri propri del pubblico potere; in particolare, la disposizione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, commi 2 e 3 non si poneva in contrasto con l’art. 9 della Direttiva atteso che la forma societaria assunta dalla contribuente presupponeva necessariamente l’esistenza di una autonoma soggettività giuridica nonchè di autonomi organi societari, caratteristiche rispettose del requisito dello svolgimento di “attività indipendente” richiesto dall’art. 9 cit. per l’assoggettamento ad Iva delle prestazioni di servizi effettuate; 4) la direttiva n. 2006/112/CE non poteva essere interpretata facendo riferimento alle definizioni enunciate nella Direttiva UE n. 2004/18/CE, dettata in materia di aggiudicazioni degli appalti pubblici di lavori atteso che la normativa sugli appalti andava interpretata estensivamente mentre l’individuazione normativa dei soggetti pubblici esenti dall’ambito di applicazione dell’Iva, costituiva un’eccezione al principio generale dell’assoggettabilità all’imposta, con conseguente interpretazione restrittiva delle cause di esenzione o non assoggettamento al tributo; identica regola ermeneutica era stata affermata dalla Corte di cassazione, ad avviso della quale il concetto di “organismi di diritto pubblico” di cui al D.P.R. n. 633/72, art. 10, comma 1, n. 27ter, in materia di esenzione Iva, non poteva coincidere con quello di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 26, essendo la prima norma da interpretarsi restrittivamente (Cass., sez. 5, n. 12491 del 2019).

5.Avverso la suddetta sentenza, la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi; resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Motivi della decisione

1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, in combinato con il D.P.R. n. 633-72, art. 30 ter, 2033 e 2946 c.c. per avere la CTR ritenuto fondata l’eccezione preliminare di tardiva presentazione delle istanze di rimborso B) e D) con riferimento all’art. 21 cit. sebbene il diritto alla restituzione andasse collocato, nella specie – trattandosi di indebiti versamenti di importi oggettivamente non dovuti in considerazione della mancata soggettività Iva del soggetto – nell’ambito dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. per il quale trovava applicazione il termine di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.; peraltro, il termine biennale per il rimborso Iva ex D.P.R. n. 633/72, art. 30ter era stato introdotto dalla L. n. 167 del 2017, art. 8, comma 1, e, quindi, successivamente alla presentazione delle istanze di rimborso in questione presentate tra il 25.11.2016 e il 7.12.2016.

2.Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633-72, art. 17 per avere la CTR erroneamente ritenuto fondata l’eccezione di carenza di legittimazione attiva della Santaservice in ordine alla richiesta di rimborso sub C) in quanto il versamento dell’imposta era stato effettuato dalla ASL per effetto della scissione dei pagamenti (c.d. split payment) sebbene tale meccanismo non facesse venire meno in capo al fornitore la qualifica di debitore di imposta in relazione all’operazione effettuata nei confronti dell’ente pubblico.

3.Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 13 della Direttiva 2006/1127CE nonchè del D.P.R. n. 633-72, artt. 4 e 10 per avere la CTR ritenuto che la Santaservice, società in house interamente partecipata dalla ASL, fosse un soggetto passivo Iva sebbene difettassero in capo alla contribuente entrambi i requisiti necessari, in forza dell’art. 9 delle Direttiva 112/2006, per identificare il soggetto passivo Iva, non rivestendo l’attività svolta dalla contribuente carattere economico nè essendo la stessa svolta in modo indipendente stante il rapporto in house con l’ASL esercente interamente il controllo. In particolare, ad avviso della ricorrente, il giudice di appello avrebbe negato il diritto al rimborso della contribuente richiamando impropriamente gli artt. 13 della Direttiva e del D.P.R. n. 633-72, 4, ancorchè la questione riguardasse la denunciata carenza di soggettività passiva di una società di capitali esercente attività amministrativa, svolta in regime privatistico, nell’interesse e sotto il diretto controllo di un ente pubblico.

  1. Il primo motivo è infondato.

4.1. Occorre ricordare che ai fini dell’IVA indebitamente versata rileva, quale termine di decadenza quello fissato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, secondo il quale la domanda di restituzione di un’imposta non dovuta “in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”, non trovando applicazione il diverso termine ordinario di prescrizione decennale previsto per l’indebito oggettivo (artt. 2033 e 2946 c.c.) cfr. Cass. n. 9818/2012; conf. Cass. n. 526/2007; Cass. sez. 6-5, n. 1426 del 2016.

Nei casi in cui si fa applicazione della disciplina generale prevista dal ricordato art. 21, comma 2, il termine di due anni per la presentazione della domanda di restituzione dell’imposta versata in eccedenza decorre “dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.

Orbene, questa Corte ha ritenuto che il soggetto legittimato può chiedere all’amministrazione finanziaria il rimborso dell’Iva (anche) dopo il decorso del termine di decadenza ex D.Lgs. n. 546 del 1992, art. art. 21, comma 2, nel solo caso in cui abbia a sua volta rimborsato l’imposta al committente in esecuzione di un provvedimento coattivo; ciò conformemente a quanto affermato dalla Corte di giustizia con la sentenza del 15 dicembre 2011 (causa C- 427/10), per cui il principio di effettività del diritto comunitario non osta ad una normativa nazionale in materia di ripetizione dell’indebito che preveda un termine di prescrizione per il committente più lungo di quello di decadenza previsto per il prestatore del servizio, a meno che il soggetto passivo resti completamente privato del diritto di ottenere dall’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA non dovuta, ma solo se questo ha ad oggetto l’imposta che “egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi” in forza di un comando imperativo, e non già per qualsiasi imposta della quale il committente pretenda o abbia preteso il rimborso, nè per quella che il prestatore abbia rimborsato spontaneamente (Cass. n. 12666/2012, nn. 6600-6605/2012; Cass. n. 3627/2015).Cass.n. 25988/2014 ha specificamente ritenuto- sia pur in vicenda che atteneva ai rapporti fra concessionario e amministrazione fiscale- che “…il soggetto passivo dell’imposta, pertanto, dopo la scadenza del detto termine di decadenza, può chiedere il rimborso dell’IVA non dovuta non già per qualsiasi imposta della quale il “committente di servizi” pretenda o abbia preteso il rimborso per la sua qualità di “prestatore di detti servizi”, nè per quella che esso abbia rimborsato spontaneamente, ma esclusivamente per quell’imposta che ha “dovuto rimborsare al committente” detto, vale a dire per l’imposta il cui rimborso in favore del committente sia stato effettivamente eseguito in esecuzione di un provvedimento coattivo di rimborso a suo danno ed in favore del committente, la cui pretesa restitutoria, siccome inidonea a far sorgere un qualche dovere di rimborso a carico del “prestatore di detti servizi”, non consente di superare la decadenza, eventualmente verificatasi, del “prestatore di detti servizi” dall’eventuale diritto di rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria finchè non si concretizza con l’adempimento dell’afferente comando imperativo da parte del prestatore di servizi. Il più breve termine di decadenza previsto dalla norma nazionale nel regolare i rapporti dello stesso con l’amministrazione finanziaria può dunque essere disapplicato solo per garantire il principio di effettività, ovvero, per dirla con la Corte di giustizia, per evitare che “le conseguenze dei pagamenti indebiti dell’IVA imputabili allo Stato” siano sopportate “esclusivamente dal soggetto passivo di tale imposta (v. anche Cass. sez. 6-5, n. 1426 del 2016).

4.2.Privo di rilievo è poi il profilo di doglianza attinente all’introduzione del D.P.R. n. 633/72, art. 30ter dalla L. n. 167 del 2017, art. 8, comma 1, successivamente alla presentazione delle domande di rimborso in questione, in quanto il D.P.R. n. 633-72, art. 30-ter (che al comma 1 stabilisce “il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”) contempla espressamente all’interno del sistema IVA il diritto alla restituzione dell’indebito, che già era riconosciuto in termini generali in ragione dell’applicazione del DLgs. 546-92, art. 21, la cui formulazione coincide con quella del D.P.R. n. 633-72, art. 30-ter comma 1.

4.3.Nella specie, il giudice di appello si è attenuto ai suddetti principi nell’accogliere l’eccezione preliminare dell’Agenzia, quanto alle domande sub B) e D), presentate tra il 25.11.2016 e il 7.12.2016, di tardività delle medesime per decorrenza del termine biennale ex D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 avuto riguardo alle date dei versamenti Iva effettuati rispettivamente nei mesi da gennaio a ottobre 2014 (istanza sub B) e negli anni dal 2009 al 2013 (istanza sub D).

  1. Il terzo motivo – che aggredisce la statuizione di merito del giudice di appello in ordine alla qualifica di soggetto passivo Iva in capo alla società contribuente – è infondato.

5.1. Ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione dell’iva, occorre che ci si trovi al cospetto di attività svolta da un ente pubblico, e che l’ente pubblico la eserciti in veste di pubblica autorità (tra varie, Corte giust. in causa C-174/14, Saudagor). Nel caso in esame non sussiste alcuno dei due presupposti.

5.2. Anzitutto non si configura il primo, perchè la Sanitaservice Srl esercita la propria attività in modo indipendente, sopportandone il relativo rischio.

L’art. 4 della sesta direttiva (di tenore corrispondente all’art. 9 della direttiva iva, alla luce del quale va interpretato il D.P.R. n. 633-72, art. 4) stabilisce, al primo paragrafo, che “si considera soggetto passivo chiunque esercita in maniera indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al par. 2, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività”, e precisa, al quarto paragrafo, che “l’espressione ‘in modo indipendentè di cui al par. 1, esclude dall’imposizione i lavoratori dipendenti ed altre persone se essi sono vincolati al rispettivo datore di lavoro da un contratto di lavoro subordinato o da qualsiasi altro rapporto giuridico che introduca vincoli di subordinazione in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione ed alla responsabilità del datore di lavoro”.

Sul punto, la Corte di giustizia ha chiarito che “… un vincolo di subordinazione non sussiste qualora gli interessati sopportino il rischio della loro attività” (Corte giust. causa C-202/90, Ayuntamiento de Sevilla, punto 13; Corte giust. causa C-355/06, Van der Steen, punto 24).

5.3. Va difatti escluso che una società in house providing come la Sanitaservice Srl sia priva del requisito dell’indipendenza.

In via generale, la società di capitali con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perchè gli enti pubblici (nella specie, l’ASL di Foggia) ne posseggano le partecipazioni, in tutto o in parte: per le vicende della società non assume rilevanza alcuna la persona dell’azionista, dato che la società, quale persona giuridica privata, opera comunque nell’esercizio della propria autonomia negoziale.

Il rapporto tra la società e l’ente locale è, cioè, di sostanziale autonomia, al punto che non è consentito all’ente pubblico di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo (e sull’attività dell’ente collettivo) mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali (così, da ultimo, Cass. n. 5346/19; si vedano altresì, tra varie, sez. un., n. 7799/05; sez. un., n. 392/11; sez. un., n. 3196/17).

5.4.- Tale caratteristica non viene meno in caso di società cd. in house providing, in funzione dell’esistenza di un “controllo analogo” dell’ASL nei confronti della società.

Questo controllo serve a consentire all’azionista pubblico di svolgere un’influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento; ma la relazione che così s’instaura non incide sull’alterità soggettiva della società rispetto all’amministrazione pubblica, in quanto la società in house rappresenta pur se sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante (Cass., sez. un., n. 7759/17; n. 21299/17; n. 7222/18 e, in particolare, Cass. n. 5346/19, nonchè, tra le ultime, Cass. n. 21658/21, Cass. sez. 5, n. 37951 del 2021).

Dunque, la posizione dell’ASL all’interno della società è unicamente quella di socio in base al capitale conferito; ed è in tale veste che l’ente pubblico può influire sul funzionamento della società, avvalendosi non di poteri pubblicistici, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri presenti negli organi della società (così, ancora, la motivazione di Cass. n. 5346 del 2019, cit.; Cass. sez. 5, n. 37951 del 2021).

Si deve allora affermare la piena autonomia, ai fini iva, della Srl Sanitaservice rispetto all’ASL, della quale non può essere considerata semplice articolazione sicchè l’attività della prima va imputata ad essa e non all’ASL. 5.5. Irrilevante è poi la giurisprudenza secondo cui la società in house providing è da ritenere longa manus dell’amministrazione ai fini dell’affidamento di appalti pubblici.

Sul punto, difatti, la Corte di giustizia (con sentenza in causa C-174/14, cit., punti 44-47) ha chiarito che la nozione di “altri enti di diritto pubblico” e, di conseguenza, quella di “amministrazioni aggiudicatrici” fissate dalla direttiva n. 2004/18 sono volte a garantire che le norme in materia di tra Spa renza e di non discriminazione che s’impongono nell’ambito di aggiudicazione di appalti pubblici si applichino a un insieme di enti statali che non fanno parte della pubblica amministrazione, ma che sono tuttavia controllati dallo Stato, in particolare mediante il loro finanziamento o la loro gestione.

Al contrario, la nozione di “altri enti di diritto pubblico”, che figura nell’art. 13, par. 1, della direttiva iva deroga alla regola generale in virtù della quale sono comprese nell’ambito applicativo dell’imposta tutte le prestazioni di servizi fornite a titolo oneroso, incluse quelle effettuate dagli enti di diritto pubblico.

Sicchè, ha osservato questa Corte (con sentenza n. 30975/21), la ratio delle due disposizioni è addirittura antitetica, considerato che la prima è ampliativa delle garanzie, costituzionali e unionali, che debbono presiedere alla contrattazione pubblica, e la seconda deroga all’imposizione fiscale e va quindi intesa restrittivamente. Questa diversità di ratio non consente, quindi, di applicare in tema di iva i principi elaborati con riguardo all’affidamento di pubblici appalti.

5.7. Per quanto riguarda la seconda condizione prescritta all’art. 13, paragrafo 1, della direttiva 2006-112, secondo la quale sono esentate dall’IVA solo le attività svolte da un ente di diritto pubblico che agisca in qualità di autorità pubblica, è sufficiente rilevare che, alla luce di una giurisprudenza costante della Corte di giustizia (sentenza del 22 febbraio 2018, Nagyszènás, Causa C-182/17 punt 55-56; del 29 ottobre 2015, Saudaçor, C-174/14, EU:C:2015:733, punti 70 e 71 e giurisprudenza ivi citata), neanche tale condizione sembra essere soddisfatta nel caso di specie.

5.8. Poichè, infatti, la Sanitaservice, secondo elementi di fatto accertati dal giudice di appello, è disciplinata da disposizioni di diritto privato e non dispone, per l’esecuzione dei compiti pubblici affidatile, di alcuna delle prerogative dei poteri pubblici dell’ASL (“se la delega di funzioni attribuita dall’ente territoriale ad un soggetto di diritto pubblico ha valore esimente dal tributo solo nel caso in cui al delegato vengano attribuite prerogative e poteri propri del pubblico potere delegante a maggior ragione l’esimente non può essere riconosciuta ad un delegato che rivesta dichiaratamente carattere privatistico come nel caso in esame” pag. 7 della sentenza impugnata), non si può sostenere che tale società eserciti un’attività nell’ambito di un regime di diritto pubblico.

  1. Il rigetto del terzo motivo, stante la corretta qualifica in capo alla contribuente di soggetto passivo Iva, comporta l’inammissibilità per carenza di interesse del secondo motivo.

4.In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 30.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2023