Riforma della giustizia tributaria: eliminati i limiti all’impugnazione delle sentenze del giudice monocratico
Nel corso dell’iter parlamentare che ha portato all’approvazione della legge n. 130 del 2022 sono venuti meno tre istituti che il Governo Draghi aveva inserito nel disegno di legge recante disposizioni in materia di giustizia tributaria: gli emendamenti hanno risolto alcune delle storture originarie della riforma con la rimozione dei limiti all’impugnazione della sentenza del giudice monocratico e con l’epurazione dal principio di diritto in materia tributaria e dal rinvio pregiudiziale nel giudizio di merito.
È da salutare con favore l’espunzione dalla legge n. 130 del 2022 di 3 istituti originariamente previsti nel disegno di legge governativo contenente la riforma della giustizia tributaria, vale a dire, da un lato, la limitazione all’impugnazione della sentenza del giudice monocratico e, dall’altro, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione e l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, il secondo e il terzo per la sola materia fiscale.
Se la prima modifica avrebbe creato un evidente stridore logico-sistematico rispetto all’istituto – assunto a modello – previsto dall’art. 339, comma 3, c.p.c. per le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, le altre due, introdotte al fine di garantire all’ordinamento tributario maggiore certezza del diritto attraverso un più immediato esercizio della funzione nomofilattica da parte del Giudice di legittimità, avrebbero potuto essere vanificate – per una sorta di eterogenesi dei fini denunciata dalla maggioranza dei commentatori – da un incremento nel carico di lavoro causato dal mancato adeguamento della struttura e dell’organico della Suprema Corte sia dal punto di vista quantitativo, sia dal punto di vista della formazione specialistica.
I limiti all’impugnazione della sentenza pronunciata dal giudice monocratico.
L’art. 2, comma 2, lett. f), dell’A.S. 2636 aggiungeva un ulteriore periodo all’art. 52, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in forza del quale la sentenza di primo grado pronunciata dal giudice monocratico – vale a dire per le controversie di valore fino a euro 3.000 ex art. 4 bis, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – potesse essere appellata esclusivamente:
- per violazione delle norme sul procedimento;
- per violazione di norme costituzionali o di diritto dell’Unione europea, ovvero dei princìpi regolatori della materia.
La disposizione non sarebbe stata applicata alle controversie riguardanti le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione (UE, Euratom) 2020/2053del Consiglio, del 14 dicembre 2020, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione.
La ratio della abortita novella risiedeva nella volontà di ridurre l’impatto delle c.d. “liti bagatellari” sul contenzioso tributario prendendo a modello l’art. 339, ultimo comma, c.p.c., relativo ai motivi di appello avverso le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità.
Durante l’esame delle commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato in sede referente è stata eliminata in toto ogni limitazione all’appellabilità delle liti bagatellari, così accogliendo le numerose critiche mosse nel corso delle audizioni informali.
Pur ricordando che, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il principio del doppio grado di giudizio può subire una compressione a favore della ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost., è tuttavia necessario che ogni limitazione all’appellabilità delle sentenze di primo grado corrisponda al canone di ragionevolezza ex art. 3 Cost.: nel caso di specie, è lampante la mancanza di coerenza sistematica della disciplina tributaria proposta rispetto a quella processual-civilistica che è stata presa a suo modello.
In base all’art. 339, comma 3, c.p.c., “le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’articolo 113, comma 2, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”: dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40 del 2016, è quindi consentita una impugnazione a critica vincolata, ad esempio, per motivi attinenti alla giurisdizione o alla competenza oppure per violazione dei principi fondamentali del rapporto dedotto in giudizio. Ciò che caratterizza questa norma è che concerne soltanto le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, vale a dire un elemento che non ricorre – né può ricorrere – nel giudizio tributario, ove l’organo giurisdizionale è chiamato a verificare la confomità dell’azione amministrativa al paradigma legale: tale mancanza rende del tutto irrazionale la scelta di applicare ad alcune liti fiscali le medesime limitazioni per l’impugnazione previste dall’art. 339, comma 3, c.p.c..
Le proposte della c.d. “Commissione Della Cananea” per un miglior esercizio della funzione nomofilattica.
Altri due istituti sono stati rimossi nella versione finale della riforma della giustizia tributaria.
Per ricostruirne la genesi è bene ricordare che, nella relazione del 30 giugno 2021, la Commissione interministeriale per elaborare proposte di interventi in materia di giustizia tributaria (la c.d. “Commissione Della Cananea”) ha suggerito di favorire l’esercizio della funzione nomofilattica da parte della Corte di Cassazione, ritenuta “un valore essenziale dell’ordinamento e una garanzia fondamentale per il cittadino perché assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale (art. 65, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, legge di ordinamento giudiziario)”. Secondo la Commissione, il fatto che il Giudice di legittimità intervenga a distanza di molti anni dal sorgere del giudizio tributario “si riverbera anche sul giudizio di merito, in quanto, il definitivo affermarsi di una determinata interpretazione di una norma avviene quando oramai un determinato contenzioso si è prodotto con centinaia, se non migliaia di cause che potevano non nascere o essere celermente decise, con ulteriore aggravio dell’intero sistema della giustizia tributaria e di quella civile in generale”; inoltre, in ambito fiscale l’esigenza di assicurare una tempestiva interpretazione uniforme è particolarmente avvertita per due ordini di ragioni, vale a dire “il continuo succedersi di norme di nuova introduzione, rispetto alle quali il giudice del merito non ha un indirizzo interpretativo di legittimità cui fare riferimento e la serialità dell’applicazione delle norme che si riflette sulla serialità del contenzioso”.
Per soddisfare tali esigenze la Commissione ha proposto l’introduzione di due istituti, vale a dire il rinvio pregiudiziale in cassazione e l’intervento del pubblico ministero nell’interesse della legge.
Con il primo strumento la Commissione ha ipotizzato di contenere i ricorsi alla Suprema Corte e, in tal modo, la durata del processo: “anziché attendere che il principio di diritto sia enunciato dalla Corte di Cassazione a conclusione dei vari gradi di giudizio, si propone che esso possa essere enunciato in via anticipata, su sollecitazione del giudice di primo o di secondo grado, dopo che il contradditorio tra le parti è stato instaurato”, mediante “un meccanismo simile – nell’impianto – a quello utilizzato per i giudizi sulla costituzionalità delle leggi in Italia o per il rinvio alla Corte di giustizia all’interno dell’UE”.
Con il secondo strumento la Commissione ha suggerito di “consentire al Procuratore generale presso la Corte di formulare al Primo presidente la richiesta di rimettere una questione di particolare importanza, in ragione della novità o della rilevanza ai fini della definizione d’una serie di controversie”: al principio di diritto così formulato “i giudici di merito tendenzialmente dovrebbero conformarsi, salva la possibilità di discostarsene in presenza di situazioni diverse e in ogni caso fornendo un’adeguata motivazione”.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione.
Le proposte della Commissione Della Cananea hanno trovato accoglimento nel disegno di legge governativo.
L’art. 2, comma 2, lett. g), introduceva l’art. 62 ter, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prevedendo che le Commissioni Tributarie potessero disporre con ordinanza il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione di diritto idonea alla definizione anche parziale della controversia. Il nuovo strumento processuale avrebbe potuto essere utilizzato soltanto qualora la questione di diritto fosse:
- nuova o comunque non fosse stata già trattata in precedenza dalla Corte di cassazione;
- una questione esclusivamente di diritto e di particolare rilevanza per l’oggetto o per la materia;
- caratterizzata da particolari difficoltà interpretative e da un contrasto tra pronunce delle Commissioni tributarie provinciali o regionali;
- per l’oggetto o per la materia, suscettibile di presentarsi o si sia presentata in numerose controversie dinanzi ai giudici di merito.
Sulla questione pregiudiziale avrebbe dovuto essere attuato il contraddittorio tra le parti mediante il deposito di memorie. Il giudizio principale sarebbe stato sospeso con l’ordinanza che avrebbe formulato la questione. Verificata l’ammissibilità del rinvio, il Primo Presidente della Corte di Cassazione avrebbe disposto la trattazione dinanzi alle Sezioni Unite ovvero alla sezione semplice tabellarmente competente, in pubblica udienza, per l’enunciazione del principio di diritto, cui sarebbe stata attribuita efficacia vincolante nel giudizio principale.
Come già visto, tale disciplina è stata espunta dalla legge n. 130 del 2022.
È tuttavia opportuno rilevare come l’introduzione di un analogo istituto tra i criteri della delega al Governo per la riforma del processo civile: in base all’art. 1, comma 9, lett. g), l. 26 novembre 2021, n. 206, sarà introdotta la possibilità per il giudice di merito, quando dovrà deve decidere una questione di diritto sulla quale avrò preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito, quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:
- la questione sia esclusivamente di diritto;
- la questione non sia ancora affrontata dalla Corte di cassazione e di particolare importanza;
- la questione si caratterizzata da gravi difficoltà interpretative e sia suscettibile di porsi in numerose controversie.
Quando sarà completata dai decreti delegati, la disciplina del codice di rito troverà applicazione anche nel processo tributario in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
L’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge in materia tributaria.
L’art. 2, comma 1, del disegno di legge governativo prevedeva l’introduzione nel Codice di Procedura Civile dell’art. 363 bis, ove si attribuiva – in via aggiuntiva oppure alternativa al rinvio pregiudiziale di cui sopra – al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione il potere di chiedere, con ricorso motivato, l’enunciazione, nell’interesse della legge, di un principio di diritto nella materia tributaria.
La questione di diritto avrebbe dovuto:
- presentare particolari difficoltà interpretative e vi siano pronunce contrastanti delle Commissioni tributarie provinciali o regionali;
- essere nuova o perché avente ad oggetto una norma di nuova introduzione o perché non trattata in precedenza dalla Corte di cassazione;
- per l’oggetto o per la materia, essere suscettibile di presentarsi o essersi presentata in numerose controversie dinanzi ai giudici di merito.
Il ricorso del Procuratore Generale, contenente una sintetia esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell’istanza, avrebbe dovuto essere depositato presso la cancelleria della Corte ed essere rivolto al Primo Presidente. In caso di inammissibilità, il Primo Presidente ne avrebbe disposto la trattazione nanti alle Sezioni Unite ovvero alla Sezione semplice tabellarmente competente per la mera enunciazione del principio di diritto, la cui pronuncia non avrebbe avuto effetto diretto sui provvedimenti dei giudici tributari.
Il nuovo art. 363 bis c.p.c. avrebbe dovuto completare la disciplina del principio di diritto nell’interesse della legge, oggi contenuta nell’art. 363, c.p.c., in forza della quale:
- quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione può richiedere che la Corte enunci nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi (comma 1);
- la richiesta del Procuratore Generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell’istanza, è rivolta al Primo Presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione sia di particolare importanza (comma 2);
- il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa sia di particolare importanza (comma 3);
- la pronuncia della Corte non produce effetti sul provvedimento del giudice di merito (comma 4).
Attraverso tale istituto la Corte di Cassazione è messa in condizione di esercitare la funzione nomofilattica anche relativamente ai provvedimenti che esulavano dalla previsione dell’art. 111, 7° co., Cost. e insuscettibili pertanto di ricorso ciò giustifica l’uso dell’espressione espressioni “richiesta” con riferimento all’iniziativa del Procuratore Generale e la mera enunciazione del principio di diritto, senza che si producano effetti sul provvedimento del giudice di merito ad esso non conforme.
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