202206.22
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Cass., sez. trib., 22 giugno 2022, n. 20190 (testo)

Presidente Sorrentino – Relatore Lenoci

Fatti di causa

  1. Con avviso di accertamento n. (omissis), notificato in data 29 novembre 2010, l’Agenzia delle Entrate accertava presuntivamente, in capo all’avv. S.M.P., esercente l’attività di lavoro autonomo come avvocato, maggiori imposte ai fini IRPEF per l’anno 2005 per Euro 21.009,00, oltre alla relativa addizionale, ed ai fini IRAP per Euro 2.050,00, oltre interessi e sanzioni.
  2. Tale atto veniva impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, la quale, con sentenza n. 108/24/2012, rigettava il ricorso condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio.
  3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale della Lombardia – sede di Milano, con sentenza n. 1588/19/2014 rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado.
  4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente, sulla base di undici motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

All’udienza pubblica del 6 maggio 2022 il consigliere relatore ha svolto la relazione ed il P.M. ed i procuratori delle parti hanno rassegnato le proprie conclusioni D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8-bis, conv. in L. 18 dicembre 2020, n. 176.

Ragioni della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce l’omesso esame di un Fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), consistente nella nullità dell’avviso di accertamento per invalidità della relativa notifica.

Con il secondo motivo di ricorso l’avv. S. eccepisce la violazione e falsa applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, artt. 3 e 14, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, art. 148 c.p.c., comma 1, artt. 149,115 e 167 c.p.c., e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento sempre al vizio di notificazione dell’avviso di accertamento e per avere posto alla base del giudizio le circostanze non contestate per cui il foglio di notifica a mezzo posta e la busta non recano alcuna sottoscrizione, timbro o sigillo dell’Ufficio, e perché non è indicato l’ufficio postale per mezzo del quale è stato spedito l’avviso di accertamento.

Con il terzo motivo di ricorso il contribuente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), consistente nella nullità dell’avviso per inesistenza ed omessa allegazione ab origine di una valida delega di firma.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la C.T.R. ha ritenuto sufficiente le delega di firma prodotto solo in sede di giudizio e non ab origine, unitamente all’atto, e non ha tenuto conto della circostanza per cui nemmeno in giudizio l’Ufficio aveva dimostrato la riferibilità della delega prodotta al funzionario sottoscrivente e nemmeno aveva dimostrato l’identità del delegante.

Con il quinto motivo di ricorso il contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 54,D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, art. 2697 c.c., e art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in considerazione della illegittimità della ripresa a tassazione di compensi professionali per l’anno 2005, con riferimento a fatture emesse e dichiarate per l’anno 2004, e tuttavia incassate nel 2005, con conseguente applicazione di una doppia imposizione.

Con il sesto motivo di ricorso l’avv. S. eccepisce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, e art. 109 TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la C.T.R. non ha riconosciuto, ritenendo la relativa eccezione tardiva, la compensazione dell’imposta accertata con riguardo all’anno 2005 con l’imposta già liquidata per effetto dell’erronea dichiarazione per l’anno 2004, la quale dovrebbe altrimenti essere rimborsata dall’Ufficio.

Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con particolare riferimento alla dedotta erroneità del calcolo dei componenti positivi di reddito effettuato dall’Ufficio in sede di accertamento.

Con l’ottavo motivo di ricorso l’avv. S. eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 54 TUIR, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,artt. 53 e 97 Cost., art. 2697 c.c., artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo l’Ufficio provveduto a scorporare dai compensi accertati altri compensi, per Euro 26.428,14, fatturati nell’anno 2005 ed incassati nel 2006, ma erroneamente dichiarati per competenza nell’anno 2005.

Con il nono motivo di ricorso il contribuente deduce, ancora, violazione e falsa applicazione dell’art. 54 TUIR, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 30,artt. 53 e 97 Cost., art. 2697 c.c., artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto la legittimità della ripresa relativa alle spese asseritamente non documentate.

Con il decimo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), consistente nella contestata indetraibilità della ritenuta d’acconto di Euro 1.029,71 della società Seven Immobiliare s.r.l. effettuata nell’anno d’imposta 2004.

Con l’undicesimo motivo di ricorso, infine, il contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere ritenuto indetraibile la suddetta ritenuta d’acconto.

  1. Orbene, così riassunti i motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.

6.1. Il primo motivo deve ritenersi inammissibile.

Il ricorrente, infatti, censura la sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere omesso l’esame di un fatto controverso e decisivo oggetto di discussione tra le parti, e cioè l’eccepita invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento.

Va rilevato, tuttavia, che la C.T.R. non ha affatto omesso l’esame del fatto in questione, avendo precisato che “i giudici di prime cure hanno motivato, sia pure succintamente, in ordine ai dedotti vizi di notifica, sottoscrizione e redazione dell’avviso impugnato, evidenziando che quest’ultimo “..risulta redatto, sottoscritto e notificato nel rispetto delle modalità di legge vigenti”. In ogni caso il Collegio, rilevato che l’Ufficio in primo grado ha prodotto la ricevuta della raccomandata AR con la quale l’avviso è stato spedito, nonché l’atto dispositivo dal quale si evince l’individuazione del responsabile dell’adozione del provvedimento e che nessuna norma impone la sottoscrizione da parte di quest’ultimo di ciascun foglio dell’avviso, e dell’avviso che le eccezioni formulate dall’appellante al riguardo siano da ritenersi destituite di fondamento”.

La questione, quindi, è stata esaminata dai giudici d’appello ed anche dai giudici di primo grado, sicché, essendosi in presenza di una c.d. “doppia conforme”, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, a fronte del quale il ricorrente, per non incorrere nella inammissibilità del motivo, avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774).

Va osservato, peraltro, sotto altro profilo, che il motivo in oggetto presuppone l’omesso esame di un fatto nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche, come nella specie, la critica circa la valutazione del fatto.

Consegue l’inammissibilità di tale motivo.

6.2. Il secondo motivo è infondato.

Con tale motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata, sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)), con riferimento alle norme che attengono al procedimento notificatorio dell’avviso di accertamento.

Invero, la notifica dell’avviso di accertamento può essere eseguita direttamente dagli uffici finanziari, avvalendosi del servizio postale, essendo tale facoltà prevista dalla L. n. 890 del 1982, art. 14.

Orbene, come è noto la L. n. 890 del 1982, scinde in due momenti distinti la fase del procedimento notificatorio, usualmente definito di “trasmissione e di consegna” dell’atto da notificare, di regola attribuita in via esclusiva all’ufficiale giudiziario, ed affida a quest’ultimo solo alcuni adempimenti della fase di trasmissione, ed al servizio postale (ed ai suoi agenti) i residui adempimenti della stessa fase, nonché tutti gli adempimenti della fase di consegna.

Correlativamente – posto che la scissione della fase di trasmissione e consegna non può che imporre anche la scissione della fase di documentazione del procedimento di notificazione, nel senso che ciascuno dei due organi deve provvedere alla redazione della relazione degli adempimenti di sua competenza – la L. n. 890 del 1982, impone all’ufficiale giudiziario di scrivere la relazione di notificazione sull’originale e sulla copia, facendo menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale spedisce la copia (L. n. 890 del 1982, art. 3, comma 1), e, all’agente postale, di documentare la propria attività nell’avviso di ricevimento, che deve essere completato in ogni sua parte e che, munito del bollo dell’ufficio postale recante la data dello stesso giorno di consegna, è spedito all’indirizzo già predisposto dall’ufficiale giudiziario. Quest’ultimo, tuttavia, non deve e non può fornire la certezza sui soggetti ai quali l’atto è consegnato, in quanto tale funzione è assolta dall’avviso di ricevimento.

Ne discende che la relazione L. n. 890 del 1982, ex art. 3, ha il solo scopo di fornire al terzo notificante la garanzia dell’effettuazione della notifica a mezzo del servizio postale, nonché il dato (l’indicazione dell’ufficio postale al quale presenterà il plico per l’invio al destinatario) indispensabile per gli accertamenti da espletare in caso di eventuali disguidi. Ma ne discende, soprattutto, che stante il suo contenuto ed il suo scopo, la relazione non assolve (quanto meno nei riguardi del destinatario) alcuna funzione essenziale al procedimento notificatorio. L’affermazione trova definitivo conforto nel dato normativo, perché la constatazione che la legge sulle notificazioni a mezzo posta, mentre prescrive espressamente che l’avviso di accertamento costituisce prova della notificazione – e, così, ne detta l’essenzialità – non contiene alcuna indicazione in ordine all’efficacia probatoria della relazione dell’ufficiale giudiziario, denota in modo univoco che, nel sistema di quella legge, questo adempimento non ha carattere e natura di requisito essenziale ai fini dell’esistenza giuridica della fase di documentazione dell’avvenuta notificazione.

Da ciò deriva anche l’ulteriore conclusione che, quando sia allegato l’avviso di ricevimento ritualmente completato, l’omissione della apposizione della relazione, non solo nella copia per il destinatario (e ciò risulta incontestabile sol che si consideri che tutti i dati del procedimento notificatorio per lui essenziali sono enunciati nella busta consegnatagli), ma altresì nell’originale, non può determinare l’inesistenza giuridica della documentazione della notifica e, con ciò, della notifica stessa; e, correlativamente, che siffatta omissione realizza un semplice vizio che, comunque, a tutto concedere, non può essere fatto valere dal destinatario, una volta che l’adempimento non è previsto nel suo interesse (arg. ex art. 157 c.p.c., comma 2).

Più in particolare, nell’ipotesi che alla notifica a mezzo posta provveda lo stesso notificante (come nel caso di specie) l’omissione non può che realizzare una mera irregolarità. Invero, alla conclusione secondo cui la relazione assolve la sola funzione di “garantire” il notificante, ed è prevista nel suo esclusivo interesse, è direttamente conseguenziale il corollario che nelle ipotesi in cui la notificazione a mezzo posta sia effettuata dallo stesso notificante ed è allegato l’avviso di ricevimento, la stessa è sostanzialmente superflua, di modo che la sua carenza non può inficiare in alcun modo la validità della documentazione e della notificazione (Cass., Sez. U, 19 luglio 1995 n. 7821).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta a tali principi, dando atto che l’Ufficio aveva prodotto l’avviso di ricevimento della raccomandata a/r con la quale l’avviso di accertamento era stato spedito.

Va osservato, inoltre, che, trattandosi, nella fattispecie in esame, di notificazione dell’atto nelle mani del portiere dello stabile, è stata inviata la comunicazione al destinatario dell’avvenuta comunicazione a mezzo lettera raccomandata, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., e della L. n. 890 del 1982, art. 7, e che i giudici di primo e secondo grado hanno dato atto della regolarità del procedimento.

Inoltre, per quel che riguarda l’eccepita violazione dell’art. 2697 c.c., tale violazione si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata, il che non ricorre nel caso di specie, in cui la parte onerata, e cioè l’Ufficio, ha provato l’avvenuto regolare perfezionamento del procedimento di notifica.

6.3. Per quel che riguarda il terzo motivo di ricorso, anch’esso deve ritenersi inammissibile.

Con tale motivo, infatti, il ricorrente censura la sentenza impugnata per l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, consistente nella dedotta nullità dell’avviso di accertamento per inesistenza ed omessa allegazione ab origine di una valida delega di firma.

La questione infatti è stata esaminata e risolta dalla Commissione tributaria provinciale, nel senso che l’atto impugnato risulta sottoscritto “nel rispetto delle modalità di legge vigenti”.

La C.T.R., dal canto suo, rilevato che l’Ufficio ha prodotto l’atto dispositivo dal quale si evince l’individuazione del responsabile dell’adozione del provvedimento, e che nessuna norma impone la sottoscrizione da parte di quest’ultimo di ciascun foglio dell’avviso, ha ritenuto infondate le eccezioni sollevate sul punto dall’appellante.

La questione, dunque, è stata esaminata dalla Commissione tributaria regionale, ed in ogni caso si è in presenza di una doppia decisione conforme, che rende inammissibile il motivo ex art. 348-ter c.p.c., comma 5.

6.4. Venendo ora ad esaminare il quarto motivo di ricorso, ritiene la Corte che esso sia infondato.

Con il motivo in esame, infatti, viene censurata la sentenza impugnata, per avere ritenuto sufficiente la delega di firma prodotta solo in sede giudiziale e non ab origine, unitamente all’avviso di accertamento, e per non avere tenuto conto della circostanza che neppure in giudizio l’Ufficio avrebbe dimostrato la riferibilità della delega prodotta al funzionario sottoscrivente e l’identità del delegante.

Sul punto, deve tuttavia rilevarsi che, con riferimento all’ipotesi in cui il contribuente contesti la legittimazione del soggetto, diverso dal dirigente, alla sottoscrizione dell’atto, l’Amministrazione finanziaria può comunque assolvere all’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere producendo, anche nel corso del giudizio (e finanche in secondo grado) la relativa delega, anche quando essa è solo di firma, e non di funzioni (Cass. 17 luglio 2019, n. 19190).

Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile e sufficiente la produzione in giudizio, da parte dell’Ufficio, dell’atto dispositivo dal quale si evince l’individuazione del responsabile dell’adozione del provvedimento, fermo restando che la verifica dell’idoneità dell’atto prodotto, ai fini della valida sottoscrizione, attiene alla valutazione riservata al giudice di merito, la cui censura è consentita ai sensi e nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), essendo pertanto inammissibile la doglianza prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dello stesso art. 360 c.p.c., n. 3).

6.5. Con il quinto motivo di ricorso il contribuente censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione di legge, nella parte in cui ha escluso l’applicazione del criterio di competenza ai fini della determinazione del reddito imponibile, il che avrebbe determinato una doppia tassazione del medesimo presupposto d’imposta, in relazione ad alcune fatture emesse nel 2004 ed i cui importi sono stati erroneamente nello stesso anno, ma in realtà incassati nel 2005.

Anche tale motivo è infondato.

L’art. 54 TUIR, comma 1, prevede infatti che “Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi”.

In base a tale disposto, pertanto, gli esercenti arti e professioni determinato il reddito da lavoro autonomo sulla base del c.d. principio di cassa e quindi, con specifico riferimento ai compensi, questi partecipano alla determinazione del reddito soltanto quando sono effettivamente incassati, a prescindere dal momento di emissione della fattura.

Nel caso di specie, dunque, rilevato che il contribuente, non ottemperando al principio di cassa, ha omesso di far partecipare alla determinazione del reddito compensi che, sebbene fatturati nel mese di dicembre 2004, risultano incassati nel 2005, l’Ufficio ha correttamente proceduto al recupero a tassazione di compensi per l’importo di Euro 40.170,91, come sintetizzato nel prospetto alle pagg. 5-6 dell’avviso di accertamento.

6.6. Con il sesto motivo di ricorso l’avv. S. censura la sentenza impugnata, per avere ritenuto tardiva l’eccezione di compensazione della maggiore imposta con riguardo all’anno 2005 con l’imposta già liquidata per effetto dell’erronea dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2004.

Anche tale motivo è infondato.

In disparte la considerazione che, in questo caso, il ricorrente non censura l’interpretazione o la falsa applicazione delle norme richiamate, bensì la statuizione circa l’inammissibilità dell’eccezione in oggetto, sicché la fattispecie avrebbe dovuto essere correttamente denunciata quale error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), deve rilevarsi, tuttavia, che tale motivo è comunque infondato.

Ed invero, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, le parti del giudizio di appello non possono proporre nuove eccezioni (che non siano quindi già state proposte in primo grado) che non siano rilevabili d’ufficio.

L’eccezione di compensazione, come è noto, è rilevabile solo su eccezione di parte, ragion per cui correttamente la C.T.R. l’ha ritenuta inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in appello, posto che i principi generali enunciati dall’art. 1242 c.c., comma 1, circa l’efficacia estintiva dei debiti derivante dalla compensazione e la sua non rilevabilità d’ufficio, sono applicabili anche al giudizio tributario (Cass. 2 novembre 2020, n. 24220).

6.7. Con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto controverso e decisivo ai fini della controversia, consistente nell’erroneità del calcolo dei componenti positivi di reddito effettuato dall’Ufficio in sede di accertamento.

Anche tale motivo è infondato.

La C.T.R., dopo avere dato atto, nella parte in fatto, anche della censura relativa alla dedotta erroneità del calcolo dell’Ufficio (asseritamente per non avere scorporato dai compensi accertati per Euro 26.428,14, fatturati nel 2005 ed incassati nel 2006, ma erroneamente dichiarati nel 2005), ha motivato affermando che “in sede di contraddittorio non è stato prodotto alcun prospetto di raccordo che potesse consentire di verificare il criterio di competenza utilizzato dal contribuente ai fini della determinazione dell’imposta dovuta”.

Tale motivazione – riferibile sia alla censura in esame che a quella, analoga, relativa alla doppia tassazione per gli anni 2004-2005 di cui al quinto motivo – consente di affermare, quindi, che il fatto storico di cui si discorre è stato comunque preso in considerazione ed esaminato dal giudice di secondo grado.

6.8. Con l’ottavo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata, per non avere la C.T.R. tenuto conto del fatto che l’Ufficio avrebbe dovuto scorporare dai compensi accertati l’importo di Euro 26.428,14, fatturato nell’anno 2005 ed incassato nel 2006 ma erroneamente dichiarato per competenza nel 2005.

Il motivo è infondato.

Come evidenziato nella sentenza impugnata, in sede di contraddittorio il contribuente non ha prodotto alcun prospetto di raccordo che potesse consentire di verificare il criterio di competenza utilizzato dal contribuente ai fini della determinazione dell’imposta dovuta, ragion per cui non è chiaro a quali importi fatturati nel 2005 si debba applicare il principio della competenza.

Peraltro, nell’articolazione del motivo in questione, non viene indicata alcuna argomentazione in diritto della sentenza impugnata che si porrebbe in contrasto con le norme invocate, ma si sollecita, sostanzialmente, una diversa ricostruzione in fatto dell’accertamento compiuto dalla C.T.R.

Infondata e’, infine, la doglianza relativa alla violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., e art. 2697 c.c., posto che, come emerge dalla difesa della controricorrente, la circostanza della esistenza di somme da scorporare per erronea dichiarazione è stata contestata dall’Ufficio, deducendo proprio l’assenza di documentazione di raccordo che potesse consentire la verifica del criterio di competenza utilizzato dal contribuente.

6.9. Con il nono motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata, per avere ritenuto legittima la ripresa a tassazione delle spese asseritamente non documentate.

Tale motivo è inammissibile.

Invero, il capo della sentenza impugnato rileva, sul punto, che “nonostante le richieste dell’amministrazione finanziaria, nessuna prova è stata fornita in ordine all’effettivo sostenimento delle spese nel corso dell’anno 2005”.

Orbene, il motivo non indica alcuna affermazione in diritto che si porrebbe in contrasto con le norme richiamate, ma sostanzialmente mira ad una rivalutazione in fatto delle risultanze probatorie, ritenute carenti; rivalutazione inammissibile in sede di legittimità (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745).

6.10. Inammissibile è anche il decimo motivo di ricorso.

Con tale motivo si censura la sentenza impugnata, per non avere esaminato un fatto decisivo e controversi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nella contestata indetraibilità della ritenuta d’acconto di Euro 1.019,71 della società Seven Immobiliare s.r.l. effettuata nell’anno d’imposta 2004.

A tal proposito, va rilevato che il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. art. 54, dalla L. n. 134 del 2012, prevede l’omesso esame di un “fatto” decisivo per il giudizio, e quindi di un preciso accadimento fenomenico o di una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. 6 settembre 2019, n. 22397).

Nel caso di specie, viene censurata, sostanzialmente, la mancata considerazione di una “questione”, e quindi non il mancato esame di un fatto storico; la censura, quindi, avrebbe dovuto essere dedotta secondo lo schema dell’omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), e non già come mancata considerazione di un fatto decisivo ex art. 360 cit. codice, comma 1, n. 5).

6.10. Inammissibile è anche l’undicesimo motivo di ricorso, che censura la sentenza impugnata, sempre con riferimento alla ritenuta indetraibilità della fattura di Euro 1.019,72 della società Seven Immobiliare s.r.l., sotto il profilo della violazione di legge, ed in particolare dell’art. 53 Cost..

Nella specie, non viene prospettata alcuna specifica violazione in diritto della norma costituzionale citata, né può ritenersi sussistente una statuizione implicita di rigetto fondata su una erronea interpretazione della norma medesima, trattandosi, piuttosto, di una omessa pronuncia sul punto, che, come detto in precedenza, avrebbe dovuto essere dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

  1. In conclusione il ricorso deve complessivamente essere rigettato.
  2. Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

Ricorrono le condizioni per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato dovuto per tale impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 3.600,00 per onorari, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato dovuto per tale impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.