202205.09
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Giustizia tributaria, riforma in stand-by

Il Gruppo Tecnico Operativo istituito presso il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze con il compito di predisporre uno schema normativo per la riforma della giustizia tributaria, ha chiuso i lavori a metà aprile. In attesa di conoscere il disegno di legge che sarà sottoposto all’esame del Governo, e che dovrà essere approvato entro dicembre 2022, da più parti sono state rilevate criticità in merito alla scelta del veicolo legislativo con cui realizzare la riforma delle Commissioni Tributarie e tentativi di mantenimento dello status quo. A monte di ogni scelta si pone la necessità di sottrarre la collocazione organica della giustizia tributaria dalla sfera gestionale del MEF, al fine rimuovere il lampante vulnus a imparzialità, terzietà e indipendenza del giudice, requisiti indefettibili per ogni giurisdizione.

Disaccordi in merito al veicolo legislativo sui cui poggiarla hanno portato allo slittamento della “Riforma completa delle commissioni tributarie di primo e secondo grado” – traguardo così formulato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Legge delega, decreto-legge o legge ordinaria?

Non pare possibile procedere con una legge delega, i cui tempi di approvazione e di attuazione non sono compatibili né con il termine del dicembre 2022, fissato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, né con la chiusura della XVIII Legislatura. Questo strumento esporrebbe inoltre al rischio di pericolose strumentalizzazioni, se il Parlamento conferisse al Governo una delega “in bianco”.

Non pare opportuno utilizzare lo strumento del decreto-legge. Da un lato, non sussistono i “casi straordinari di necessità e di urgenza” che l’art. 77 Cost. individua quali presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo da parte del Governo, non potendosi intendere come tali il colpevole ritardo accumulato nell’elaborazione delle norme. Dall’altro, non si può non prendere atto della prassi di ridurre ai minimi il confronto parlamentare e di approvare la legge di conversione a colpi di fiducia. Da ultimo si creerebbe un pericoloso corto circuito – del tutto analogo a quello oggi esistente in capo al Ministero dell’Economia e delle finanze – se la Presidenza del Consiglio dei Ministri unificasse in sé i ruoli di Legislatore, di gestore dell’apparato amministrativo e di controllore.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza indica la legge ordinaria come “tipologia di misura”, specificando che il veicolo normativo può essere costituito da un “provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica”; Secondo il Documento di Economia e Finanza per il 2022, “per rispettare le scadenze concordate con la Commissione (il 2022), si ipotizza di intervenire con disposizioni di immediata applicazione, anziché ricorrere alla legge delega”. L’ultima soluzione tecnica pare quella preferibile, sia perché conforme a Costituzione, sia perché idonea a garantire il rispetto dei tempi imposti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sia perché garantisce la possibilità di raggiungere un compromesso politico in sede di dibattito parlamentare: infatti, a tale ultimo proposito, nell’audizione del 12 aprile 2022 presso la Commissione Finanze del Senato anche il Prof. Giacinto Della Cananea ha espressamente affermato che “il disegno istituzionale della giustizia tributaria postula una scelta di fondo […] che compete alle istituzioni cui spetta determinare l’indirizzo politico generale: il Governo e il Parlamento, luogo di composizione delle varie istanze che affluiscono dal corpo sociale”.

Sintesi politica tra principi costituzionali e interessi corporativistici

Come ha chiarito la Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 41 del 1957 e ordinanza n. 144 del 1998) “per le preesistenti giurisdizioni speciali, una volta che esse siano state assoggettate a revisione, non si crea una sorta di immodificabilità nella configurazione e nel funzionamento, né si consumano le potestà di intervento del legislatore ordinario, il quale conserva il normale potere di riordinare i giudici speciali o di ristrutturarli nuovamente anche nel funzionamento e nella procedura, con il duplice limite di non snaturare le materie attribuite alla loro rispettiva competenza e di assicurare la conformità a costituzione”.

Non soltanto non sussistono ostacoli costituzionali alla riforma dell’ordinamento giudiziario tributario, ma è ormai matura la necessaria volontà politica è, come è desumibile dalla disamina dei disegni di legge depositati nelle due Camere – anche da parte del CNEL – e dalle audizioni condotte nelle Commissioni competenti: ciò che ancora manca è una sintesi tra gli interessi contrapposti.

I tentativi di conservazione dello status quo hanno un duplice baricentro, vale a dire, da un lato, il Ministero dell’Economia e delle finanze e, dall’altro, i magistrati onorari in carica e l’apparato burocratico a loro supporto: se la resistenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze è vinta dalla necessità di rispettare i principi costituzionali dell’indipendenza e della terzietà del giudice, le pretese corporativistiche possono essere soddisfatte con un regime transitorio che garantisca il mantenimento delle condizioni giuridico-economiche maturate anche per il futuro.

Il sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze Maria Cecilia Guerra ha infatti riconosciuto che, durante l’arco temporale di lungo periodo necessario per l’attuazione della riforma, “gli attuali giudici onorari continueranno a svolgere le funzioni giurisdizionali che sinora hanno esercitato, fino alla naturale cessazione dei rispettivi incarichi”.

Dal ministero dell’Economia e delle finanze al Ministero della Giustizia

La collocazione organica della Giustizia Tributaria nella sfera gestionale del Ministero dell’Economia e delle Finanze costituisce un lampante vulnus all’imparzialità, alla terzietà e all’indipendenza del giudice, requisiti indefettibili per ogni giurisdizione secondo l’univoca giurisprudenza nazionale e sovranazionale.

La sostanziale conservazione dell’assetto attuale manterrebbe inalterato il ruolo dell’Amministrazione finanziaria quale unica depositaria delle competenze conoscitive richieste da Governo e Parlamento a sostegno dell’esercizio della funzione legislativa. Al contrario, l’istituzione di un autonomo ruolo dell’amministrazione giudiziaria creerebbe le condizioni culturali idonee alla concreta attuazione dei valori di solidarietà economico-sociale che sono alla base dell’assetto disegnato dalla Costituzione.

Tra le forze riformatrici vi è concordia nel ritenere necessario che le Commissioni Tributarie interrompano ogni legame organizzativo con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e che siano incardinate nella Presidenza del Consiglio dei Ministri ovvero nel Ministero della Giustizia, con l’adeguamento del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria rispetto alle prerogative proprie del Consiglio Superiore della Magistratura.

L’inquadramento nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri non è accettabile perché verrebbe nuovamente compromessa la separazione tra il potere giudiziario, il potere esecutivo e il potere legislativo, giacché il controllo giurisdizionale del legittimo esercizio del potere impositivo sarebbe incardinato nell’ambito di un’istituzione che dirige la politica generale del Governo ex art. 95 Cost. e che esercita il potere legislativo ex articoli 76 e 77 Cost.; a ciò si aggiunga che già oggi la Presidenza del Consiglio dei Ministri svolge un penetrante controllo sulla Giustizia Tributaria, potendo, ad esempio, promuovere il procedimento disciplinare (art. 16, D.Lgs. n. 545/1992) ed esercitando l’alta sorveglianza sulle Commissioni Tributarie e sui giudici tributari (art. 29, D.Lgs. n. 545/1992).

Le obiezioni supra sintetizzate potrebbero dirsi superate affiancando i magistrati e il personale amministrativo delle Commissioni Tributarie ai propri omologhi del settore civile e penale sotto il Ministero della Giustizia. Tale soluzione consentirebbe inoltre l’integrazione delle carriere all’interno delle Commissioni Tributarie con quelle nella Sezione tributaria della Corte di Cassazione, da istituirsi per legge.

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