202102.04
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Cass., sez. unite civ., 4 febbraio 2021, n. 2608 (testo)

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 15 dicembre 2020 – 4 febbraio 2021, n. 2608

Presidente Tirelli – Relatore Perrino

Fatti di causa

Emerge dalla sentenza impugnata che s.p.a. Toscana Finanza, poi incorporata in s.p.a. Banca Ifis, chiese il rimborso del credito a titolo di ires, maturato in relazione al periodo d’imposta 19 giugno 1987/30 novembre 2007 dalla CONS.A.P.RI. – Consorzio Agricolo Produttori Riso soc.c.oop. a r.l. in liquidazione coatta amministrativa, e oggetto di un contratto stipulato nel 2010 dal commissario liquidatore, benché la procedura di liquidazione coatta amministrativa si fosse chiusa con decreto del 28 gennaio 2008 del Tribunale di Pavia (e la società, aggiunge l’Agenzia, fosse stata cancellata dal registro delle imprese il successivo 18 aprile).
La società impugnò il conseguente silenzio-rifiuto e l’Agenzia, nel costituirsi dinanzi al giudice di primo grado, eccepì il difetto di legittimazione sostanziale della s.p.a. Toscana Finanza. Ciò perché, osservò, questa aveva acquistato il credito quando ormai il commissario liquidatore non poteva più cederlo, perché era cessato dalla carica, in esito alla chiusura della procedura. Nè poteva rilevare, aggiunse l’amministrazione finanziaria, lo scambio di corrispondenza intercorso tra le parti durante lo svolgimento della procedura: il credito a quell’epoca non esisteva, poiché non era stata ancora presentata la dichiarazione finale dei redditi dalla quale esso sarebbe poi scaturito.
La Commissione tributaria provinciale di Pavia accolse il ricorso e condannò l’Agenzia a pagare alla s.p.a. Toscana Finanza l’importo del credito.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha poi rigettato il successivo appello del fisco. Ha osservato sul punto che la dichiarazione dei redditi con l’eventuale indicazione del credito verso l’erario va fatta entro i sette mesi successivi alla chiusura della procedura di liquidazione coatta amministrativa; il che comporta per legge una prorogatio dei poteri del commissario liquidatore. E proprio l’impossibilità di determinare con esattezza il credito prima della chiusura della procedura spiega, ad avviso del giudice d’appello, lo scambio di corrispondenza relativo alla cessione intercorso tra la soc.c.oop. a r.l. CONS.A.P.RI in l.c.a. e la s.p.a. Toscana Finanza; laddove il contratto di cessione munito dei requisiti di forma previsti dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, è stato appunto stipulato dopo la chiusura. Per conseguenza, ha concluso la Commissione tributaria regionale, il commissario liquidatore, come è legittimato, dopo la chiusura della procedura, a presentare la dichiarazione dei redditi relativa al maxiperiodo concorsuale, così è legittimato a cedere il credito che pur sempre emerge dalla dichiarazione. Senz’altro privo di legittimazione sarebbe, invece, ha rimarcato, il legale rappresentante della società tornata in bonis, anche perché la cessionaria ha pagato il corrispettivo della cessione alla procedura, non già alla società in bonis.
Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, che affida a un unico motivo, cui replica la s.p.a. Banca Ifis con controricorso, che illustra con memoria.
Con ordinanza 28 maggio 2020, n. 10129 la sezione tributaria di questa Corte ha rilevato un contrasto concernente la valutazione del rapporto tra il sistema della tassazione in acconto fissato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 2 e la tassazione del reddito delle procedure concorsuali liquidatorie, e ha individuato una questione di massima di particolare importanza con riferimento alla circolazione dei crediti delle procedure concorsuali. Sicché ha chiesto al Primo Presidente di valutare la rimessione del giudizio alla cognizione delle sezioni unite. Ne è seguita la fissazione dell’odierna udienza, in prossimità della quale la s.p.a. Banca Ifis ha depositato ulteriore memoria illustrativa.

Ragioni della decisione

1.- Con l’ordinanza interlocutoria si pongono i seguenti quesiti:
a) se sussista la legittimazione del commissario liquidatore di una procedura di liquidazione coatta amministrativa (l.c.a.) a chiedere il rimborso del credito ires da eccedenza di imposta versata a titolo di acconto, liquidato all’atto della presentazione della dichiarazione dei redditi a termini del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 10, comma 4 (recte, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 5, comma 4, applicabile all’epoca dei fatti) successivamente all’archiviazione della procedura;
b) se sussista la legittimazione del commissario liquidatore di una procedura di l.c.a. a chiedere il rimborso del credito ires da eccedenza di imposta versata a titolo di acconto, il cui importo sia stato acquisito dalla procedura cedente prima della predisposizione del piano di riparto finale, ma sia divenuto certo, liquido ed esigibile successivamente all’archiviazione della procedura per effetto della dichiarazione presentata, anche successivamente alla suddetta archiviazione e alla cancellazione della società, quale attività meramente esecutiva, effettuata in regime di prorogatio, volta a dare attuazione all’archiviazione della procedura concorsuale.
1.1.- Si tratta nel caso in questione, lo si è riferito in narrativa, di un credito scaturito dalle ritenute d’acconto sugli interessi attivi maturati in favore della procedura sulle somme depositate sui conti correnti bancari (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 26).
2.- I sostituti d’imposta hanno l’obbligo di operare le ritenute d’acconto sugli interessi derivanti da conti correnti e da depositi bancari e postali anche quando l’impresa a favore della quale sono corrisposti sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, in virtù del principio di eguaglianza tributaria (Cass. 14 maggio 2007, n. 10974; Cass. 22 settembre 2011, n. 19314; in linea, anche Cass. 7 marzo 2019, n. 6630).
2.1.- Di norma, però, il credito da eccedenza è accertato soltanto alla fine della liquidazione: qualora vi sia un residuo attivo imponibile, dall’imposta che risulterà dovuta si devono scomputare gli acconti prelevati dal sostituto nel corso della procedura e versati all’erario, mentre il diritto al rimborso totale o parziale delle somme è destinato a manifestarsi nell’ipotesi in cui, in base ai risultati del conto di gestione e del bilancio finale, non siano dovute imposte sui redditi d’impresa o siano dovute imposte per un ammontare inferiore a quello delle ritenute d’acconto.
3.- Questa disciplina rischia di entrare in frizione col regime delle procedure concorsuali.
A norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 80, difatti, “se l’ammontare complessivo dei crediti…, delle ritenute d’acconto e dei versamenti in acconto di cui ai precedenti articoli è superiore a quello dell’imposta dovuta il contribuente ha diritto, a sua scelta, di computare l’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo di imposta successivo, di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione dei redditi ovvero di utilizzare la stessa in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17”.
3.1.- Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 183, comma 2, tuttavia, conforma in maniera particolare il periodo d’imposta, individuando il c.d. maxiperiodo concorsuale, là dove prevede, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, che “il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio e la chiusura del procedimento concorsuale – di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa – quale che sia la durata di questo ed anche se vi è stato esercizio provvisorio, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti”.
In relazione a questo periodo il reddito d’impresa risulta dalle dichiarazioni iniziale e finale che devono essere presentate dal curatore o dal commissario liquidatore (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 5, comma 4, nel testo applicabile all’epoca dei fatti); ma il curatore o il commissario liquidatore presentano la dichiarazione concernente il risultato finale delle operazioni di liquidazione entro i sette mesi successivi alla chiusura del fallimento o alla cessazione della liquidazione (sempre in base al testo della norma applicabile all’epoca dei fatti).
3.2.- La tassazione non opera quindi in relazione ai risultati economici della gestione di ciascun periodo d’imposta (come quelli risultanti dall’utile di bilancio rettificato a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83), ma con riguardo a una grandezza patrimoniale, data, appunto, dalla differenza tra il residuo attivo risultante al termine della procedura e il patrimonio netto all’inizio di essa (Cass. 28 maggio 2020, n. 10108), che si riferisce a un periodo d’imposta unico. Non c’è quindi la possibilità per il curatore o il commissario liquidatore di applicare del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 80, perché, non sussistendo i presupposti per la compensazione, non si può computare in diminuzione in un periodo d’imposta successivo l’eccedenza che sia stata accertata.
4.- Il conseguente punto di attrito tra la disciplina generale delle ritenute d’acconto e quella particolare dell’imposizione reddituale nelle procedure concorsuali ha comportato orientamenti di segno diverso nella giurisprudenza di questa Corte.
Da un canto v’è la prospettazione (espressa da Cass. 1 luglio 2003, n. 10349), secondo cui in caso di fallimento (e il principio si estende alla liquidazione coatta amministrativa) la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale, che presuppone il compimento di tutte le operazioni necessarie alla definizione dei rapporti giuridico-economici facenti capo alla procedura, in mancanza di una espressa previsione di legge che lo vieti e in considerazione del fatto che il legislatore prevede il termine ultimo, ma non quello iniziale per ottemperarvi, è presentata in modo legittimo ed efficace anche prima della chiusura della procedura.
Senz’altro occorre che vi siano o una specifica esigenza della procedura o un oggettivo interesse della massa dei creditori: in tal caso, peraltro, è sufficiente che, da un lato, siano stati definiti tutti i rapporti pendenti, e che, dall’altro, siano noti al curatore – o al commissario liquidatore – tutti gli elementi che compongono il reddito da dichiarare. D’altronde, si sottolinea, in caso di omissioni o di incompletezze della dichiarazione, l’ufficio finanziario, sulla base dei poteri di accertamento riconosciutigli dalla legge, può sempre controllare la dichiarazione dei redditi finale, presentata dal curatore del fallimento (o dal commissario liquidatore della l.c.a.).
4.1.- D’altro canto v’è la tesi (che si legge in Cass. 18 gennaio 2018, n. 1150) in base alla quale, avvenuta l’estinzione della società per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, il diritto al rimborso spettante per l’eventuale eccedenza corrisposta può essere esercitato dai soci pro quota (oppure da ciascun socio per l’intero, applicando i principi fissati da Cass. 21 settembre 2020, n. 19641) e sul rimborso ottenuto si possono soddisfare i creditori rimasti insoddisfatti nella procedura concorsuale.
4.2.- In definitiva, secondo un orientamento, del rimborso da eccedenza fruirebbe la procedura, mediante la dichiarazione anticipata del curatore o del commissario liquidatore. In base all’altro, ne fruirebbero i soci (e sulla somma che ne sia oggetto si soddisferebbero i creditori rimasti insoddisfatti) dopo la chiusura della procedura e la cancellazione della società dal registro delle imprese.
5.- Ciascuna delle due opzioni, si argomenta con l’ordinanza interlocutoria, presenta aspetti critici:

  • la prima, sia perché la procedura è destinata a rimanere aperta sino all’esecuzione del rimborso, posto che solo all’esito di questo si potrà procedere al rendiconto e al riparto finale, sia perché è parsa problematica una chiusura anticipata del periodo fiscale rispetto al momento dell’approvazione finale del bilancio finale e del conto di gestione;
  • la seconda, in quanto i singoli creditori sarebbero onerati di agire sul patrimonio dei soci della società già fallita o in l.c.a., con ulteriori oneri a carico degli originari beneficiari del rimborso, eventualmente in via surrogatoria nei confronti dei supposti titolari, successori nella titolarità del credito.
    5.1.- La sezione tributaria dubita della conformità al principio costituzionale della capacità contributiva posto dall’art. 53 Cost., di un sistema fiscale che impedisca il rimborso dell’imposta versata in eccedenza a titolo di acconto in assenza di un debito d’imposta e dà conto dell’ulteriore soluzione, invalsa nella prassi, di cedere in corso di procedura il credito maturando. In tal caso, sottolinea, il ricavo netto della cessione del credito formatosi in costanza di procedura e di spettanza della massa dei creditori è incamerato dal commissario liquidatore (come anche dal curatore del fallimento) a beneficio della massa quale credito futuro. Sicché gli atti di cessione del credito, una volta divenuto certo il credito ceduto, sarebbero mera mente esecutivi, assimilabili a un’attività materiale.
    6.- Nel caso in esame, in effetti, emerge dagli atti che il commissario liquidatore ha ceduto alla controricorrente il credito da eccedenza nel corso della procedura.
    L’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, L. Fall., art. 120, D.L. 14 marzo 1998, n. 70, art. 5, comma 4-ter, L. Fall., art. 121 e dell’art. 2495 c.c., sostenendo che l’atto di cessione di credito effettuato da un soggetto privo di poteri rappresentativi perché decaduto dalla carica, nonché da una società ormai estinta perché cancellata dal registro delle imprese sia irrimediabilmente nullo. Non contesta, tuttavia, che, nel corso della procedura, mediante lo “scambio di corrispondenza” del quale riferisce il giudice d’appello, la cessione del credito vi sia stata e che, come si accerta in sentenza, il relativo prezzo sia stato corrisposto al commissario liquidatore.
    D’altronde, l’autorizzazione del Ministero delle attività produttive, successivamente denominato Ministero dello sviluppo economico, sulla quale fa leva l’Agenzia in ricorso si riferisce pur sempre alla cessione avvenuta in corso di procedura (si legge in ricorso di una richiesta di autorizzazione in data 22 maggio 2003 e del suo ottenimento in data 17 novembre 2009); nè al riguardo la ricorrente si confronta con l’ulteriore accertamento contenuto nella sentenza impugnata che quell’autorizzazione è stata preceduta da altra, pur sempre funzionale alla cessione avvenuta nel 2004.
    6.1.- La controricorrente dal canto suo specifica di aver ottenuto l’ulteriore autorizzazione a fini soltanto prudenziali e di aver stipulato nel 2010 il successivo atto autenticato da notaio al solo scopo di far valere la cessione già avvenuta nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
    7.- La questione concernente la cessione avvenuta in corso di procedura si rivela, allora, dirimente per la decisione del giudizio.
    Il credito in oggetto poteva essere oggetto di cessione nel corso della procedura.
    La L. Fall., art. 106, nel testo sostituito del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 93, comma 1, a decorrere dal 16 luglio 2006, stabilisce che “il curatore può cedere i crediti, compresi quelli di natura fiscale o futuri, anche se oggetto di contestazione…”; e lo scopo che si è prefisso il legislatore di quella riforma, dichiarandolo nella relazione, è stato proprio quello di evitare ritardi nella chiusura delle procedure concorsuali, sovente rallentata giustappunto dai tempi di accertamento e di rimborso dei crediti tributari.
    7.1.- Di là dall’espressa previsione normativa, del resto, anche prima della sostituzione del testo della L. Fall., art. 106, non si dubitava che il curatore (o il liquidatore nella procedura di l.c.a.) potesse cedere un credito tributario futuro.
    8.- Ai fini della cessione, non rileva che il credito sia esposto in una dichiarazione, la quale non ha natura negoziale o comunque dispositiva, ma è esternazione di scienza o di giudizio (Cass., sez. un., 30 giugno 2016, n. 13378, che ne ha per conseguenza ammesso l’emendabilità per errori o omissioni). Quel che importa è che esso scaturisca da uno specifico rapporto tributario e che in quanto tale sia qualificabile come credito futuro (Cass. 24 giugno 2015, n. 13027; Cass. 24 ottobre 2019, n. 27278), o che derivi da rapporti tra cedente e ceduto anche soltanto eventuali al momento della cessione (tra varie, Cass. 11 maggio 1990, n. 4040; 10 dicembre 2018, n. 31896; 28 febbraio 2020, n. 5616).
    8.1.- Nel caso in esame, quando è stato ceduto, il credito non si poteva dire certo, perché erano in corso le attività di liquidazione dalle quali sarebbe scaturito (anzi, proprio la cessione in questione, che ha prodotto un provento, ha costituito una di quelle attività).
    Il credito è divenuto certo e attuale, tuttavia, al termine di quelle operazioni, che hanno individuato la materia imponibile.
    Il che è avvenuto, quindi, durante la pendenza della procedura di l.c.a.: a norma della L. Fall., art. 213, la procedura è destinata a cessare, e a comportare la cancellazione della società che vi sia stata sottoposta, soltanto in esito all’approvazione del bilancio finale di liquidazione, del conto di gestione e dell’ultimo riparto ai creditori, che postulano, tutti, appunto la chiusura delle operazioni di liquidazione.
    9.- Nella disciplina del caso concreto, peraltro, alla cessione del credito vantato verso il fisco vanno applicate le disposizioni peculiari della contabilità generale dello Stato.
    In particolare, a norma del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, “Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio…”; in virtù del D.L. 9 settembre 2005, n. 182, art. 3, comma 5-decies, convertito, con mod., con L. 11 novembre 2005, n. 231, “Tra le amministrazioni dello Stato devono intendersi le Agenzie da esso istituite, anche quando dotate di personalità giuridica”.
    9.1.- A tanto si aggiungono le prescrizioni del R.D. n. 2440 del 1923, art. 70, il cui comma 1 stabilisce che “Gli atti considerati nel precedente art. 69, debbono indicare il titolo e l’oggetto del credito verso lo Stato, che si intende colpire, cedere o delegare”; del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43-bis, a norma del quale (comma 1) “Le disposizioni del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70, si applicano anche alle cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi”, e del D.M. 30 settembre 1997, n. 384, art. 1, secondo cui (comma 4) “Per essere efficace, l’atto di cessione è notificato all’ufficio delle entrate o al centro di servizio presso il quale è stata presentata la dichiarazione dei redditi del cedente, nonché al concessionario del servizio della riscossione competente in ragione del domicilio fiscale del cedente alla data di cessione del credito”.
    10.- I requisiti formali richiesti non incidono sulla validità del contratto di cessione e sul conseguente rapporto sostanziale tra cedente e cessionario, perché il legislatore non dispone che l’atto sia fatto in un determinato modo, ma che la cessione, quando riguardi crediti della pubblica amministrazione, “risulti” da atti muniti di una determinata forma. La cessione realizzata in forme diverse, quindi, sebbene valida tra cedente e cessionario, è inefficace nei confronti del fisco, fatta salva l’accettazione (tra varie, Cass. 6 marzo 2013, n. 5493).
    10.1.- A fronte, allora, di una cessione priva dei requisiti formali prescritti, la successiva stipulazione di un atto che, invece, li osservi si traduce in una riproduzione contrattuale, che consente al cessionario di far valere il credito nei confronti del fisco (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 21 ottobre 2019, n. 26803, a proposito dell’atto preordinato al compimento delle formalità immobiliari e alla pubblicità nei confronti dei terzi relativo a una vendita di cosa altrui mediante scrittura privata non autenticata).
    10.2.- La riproduzione, dopo la chiusura del fallimento o la cessazione della procedura di l.c.a., della cessione stipulata quando la procedura pendeva si atteggia come mero adempimento materiale; e si tratta di un adempimento dovuto, perché per effetto della cessione il credito non fa più parte della sfera giuridica del cedente (in linea, con riferimento alla stipulazione dopo la chiusura del fallimento del contratto definitivo esecutivo dell’obbligo di fare derivante dal preliminare di cessione stipulato in pendenza di procedura, Cass. 4 aprile 2019, n. 9444; coerente anche Cass. 21 dicembre 2005, n. 28300). Sicché non è necessario evocare l’ultrattività dei poteri del commissario liquidatore (o del curatore), in quanto l’adempimento in questione è consequenziale alla dichiarazione che il commissario (o il curatore) deve fare per legge dopo la cessazione della procedura e che espone il credito già oggetto dell’atto di disposizione.
    11.- Alla luce dei principi indicati, il ricorso dell’Agenzia è infondato, perché, come evidenziato sopra, sub 6, non si dubita, in fatto, che la cessione del credito sia avvenuta durante la pendenza della procedura, sicché il contratto successivo alla cessazione di essa si è tradotto in una mera riproduzione contrattuale, che costituisce un adempimento dovuto.
  1. Ne seguono il rigetto del ricorso, e l’enunciazione del seguente principio di diritto:
    “In tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito ires da eccedenza d’imposta versata a titolo di ritenuta d’acconto nasce in esito e per l’effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata dal commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedentemente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto”.
    12.1.- La sussistenza di orientamenti diversi in ordine alla questione comporta, tuttavia, la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

la Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa le spese.