201901.31
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Cass., sez. trib., 31 gennaio 2019 (ord.), n. 2853 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27027/2012 proposto da:

A. AUTO s.r.l. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio Lucisano (C.F. LCSCLD54S26H501P) e dall’Avv. Maria Sonia Vulcano come da procura speciale a margine del ricorso ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Crescenzio 91;

  • ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)) in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, (C.F. 80224030587, Fax 06/96514000 e PEC agsm2.mailcert.avvocaturastato.it), presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;

  • controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/06/12 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 12 aprile 2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 giugno 2018 dal Consigliere Grasso Gianluca.

Svolgimento del processo

che la A. Auto s.r.l. impugnava, con separati ricorsi, due avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2004 e 2005, con cui si disponeva il recupero a tassazione dei costi sprovvisti del requisito della certezza ex art. 109 TUIR e l’indebita detrazione Iva in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, nonchè per maggiori importi di Ires e Irap;

che la Commissione tributaria provinciale di Sondrio, previa riunione dei due procedimenti per connessione oggettiva della materia discussa, accoglieva i ricorsi;

che la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la validità degli avvisi di accertamento in materia di Iva per gli anni di imposta 2004 e 2005;

che la A. Auto s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;

che resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Motivi della decisione

che con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione in diritto dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c. in combinato disposto tra loro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Parte ricorrente sostiene che la sentenza di appello avrebbe erroneamente applicato nel caso di specie le norme in tema di ripartizione dell’onere della prova, non essendovi prova dei fatti addebitati alla ditta FM Motors di M.F., quale operatore presumibilmente interposto rispetto al vero cedente dei veicoli, la Pro. Direct Gmbh, riconducibile a un diverso soggetto, e sulla frode compiuta nè, tantomeno, della partecipazione consapevole all’illecito da parte della A. Auto s.r.l. Si evidenzia altresì che in assenza di una autonoma e unitaria contestazione nei confronti dei tre soggetti interessati al presunto meccanismo di frode, la condotta del primo cedente comunitario e del secondo cedente nazionale, quando manchi la prova idonea a documentare il fatto che si intende opporre al terzo soggetto (cessionario finale dell’operazione), ovvero quando manchi un pronunciamento idoneo a costituire forza di cosa giudicata, devono considerarsi mere presunzioni dalle quali – ancorchè gravi precise e concordanti – non può discendere una seconda presunzione di conoscibilità a carico del contribuente, oggetto di separata e indipendente attività di verifica;

che il motivo è infondato;

che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema d’Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base a elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (Cass. 18 maggio 2018, n. 12258; Cass. 9 settembre 2016, n. 17818; Cass. 5 dicembre 2014, n. 25778);

che ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

che, nel caso concreto, la pronuncia impugnata ha evidenziato le ragioni per cui ha ritenuto la natura fittizia della ditta FM Motors di M.F., mancando dei supporti logistici idonei al commercio, esposizione e vendita di autovetture, sottolineando altresì la totale assenza di scritture contabili e il raggiungimento di un ingente volume di affari in soli nove mesi attraverso il compimento di operazioni palesemente antieconomiche;

che l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza e alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

che il giudice d’appello ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistere la consapevolezza, da parte dell’odierna ricorrente, della frode compiuta (a fronte dell’esistenza e frequenza di un meccanismo fraudolento ben risaputo nell’ambiente degli operatori commerciali e a una situazione concreta, nella quale erano ben presenti elementi di fatto che rendevano elevato il rischio di una partecipazione alla frode, la A. Auto s.r.l., pur avendone il titolare la capacità cognitiva professionale, non ha posto in essere nessun, neppur minimo, controllo nè oppone di essersi trovata in una situazione di fatto che non le consentiva di esercitarlo);

che in tema di Iva, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione, altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. 15 maggio 2018, n. 11873);

che, pertanto, la mera regolarità della documentazione contabile e l’effettivo pagamento delle fatture non costituiscono elementi dimostrativi idonei in ordine alla buona fede del contribuente, essendo del tutto compatibili con la possibilità che le fatture fossero relative ad operazioni soggettivamente inesistenti;

che, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

che con il secondo motivo si prospetta la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), quanto all’anno d’imposta 2005. Si evidenzia, al riguardo, che per affermare la solidarietà nel pagamento dell’imposta, mentre nell’anno 2004, in assenza di una norma specifica, la prova della partecipazione alla frode riguarda l’animus del contribuente, nell’anno 2005, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, presuppone che sia dimostrata una vendita di beni sotto il valore di mercato, che nella specie è stata solo presunta sulla base di un verbale standardizzato che offre come unica circostanza, ai fini della prova della responsabilità della A. Auto s.r.l., il sol fatto che il cedente non abbia compilato i modelli intrastat e non abbia esibito la documentazione contabile;

che il motivo è infondato;

che del tutto erroneo è il richiamo al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, introdotto dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 386, per contrastare le frodi carosello attraverso la solidarietà dal lato passivo dell’obbligazione tributaria (Cass. 28 giugno 2018, n. 17171);

che ciò è avvenuto in conformità dell’art. 21 n. 3 della sesta direttiva, come interpretato dalla Corte di Giustizia, nella sentenza dell’11 maggio 2006 nella causa C-384/04, Commissioners of Customs & Excise e Attorney General c. Federation of Technological Industries e altri, secondo cui la disciplina “permette ad uno Stato membro di adottare una normativa ai sensi della quale un soggetto passivo, a favore del quale sia stata effettuata una cessione di beni o una prestazione di servizi e che era a conoscenza del fatto o aveva ragionevoli motivi per sospettare che la totalità o parte dell’imposta sul valore aggiunto dovuta per tale cessione o tale prestazione, ovvero per qualsiasi altra cessione o qualsiasi altra prestazione precedente o successiva, non sarebbe stata versata, può essere obbligato a versare tale imposta in solido con il debitore”;

che la normativa europea, per determinati beni, contemplati in primo luogo dal D.M. 22 dicembre 2005 e tra i quali rientrano le autovetture usate, prevede che il cessionario, operatore professionale soggetto a Iva è solidalmente coobbligato al pagamento dell’imposta dovuta dal cedente nel caso in cui il prezzo della cessione sia inferiore al valore normale del bene compravenduto;

che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, ha introdotto una presunzione relativa, in quanto il cessionario può documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta (comma 3);

che, a differenza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, che concerne l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, come nel caso di specie, il medesimo D.P.R., art. 60-bis, presuppone l’effettività dell’operazione, sotto fatturata rispetto al valore normale della cessione, tanto in relazione alla realtà economica, quanto al rapporto intersoggettivo tra cedente e cessionario, e quindi consente a quest’ultimo di portare in detrazione l’Iva non versata dal cedente e per la quale è stato chiamato al pagamento come obbligato solidale;

che in luogo del disconoscimento della detrazione a monte, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 bis, in tema di solidarietà nel pagamento dell’imposta, prevede l’obbligo autonomo di pagare quanto dovuto e non versato dal cedente. La disciplina pertanto non implica la rettifica della posizione del cessionario e trova applicazione l’obbligazione solidale per il semplice fatto giuridico dell’omesso versamento del dovuto da parte del cedente, senza alcuna necessità di attività accertativa (Cass. n. 17171 del 2018);

che in presenza di una operazione soggettivamente inesistente (ipotesi che si verifica in caso di interposizione fittizia del cedente, il quale, non essendo il soggetto che realmente compie la operazione economica, non assume la qualità di soggetto passivo e non è pertanto legittimato ad emettere fattura, nè a pretendere l’Iva in rivalsa) il cessionario non può essere chiamato a rispondere dell’obbligazione tributaria del fittizio cedente, mentre – ricorrendone i presupposti – potrà essere chiamato a rispondere in solido per l’omesso versamento Iva, non fatturata, da parte del reale fornitore (effettivo cedente) della merce nei confronti del quale si è realizzato il presupposto d’imposta;

che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, non concerne pertanto la fattispecie della detrazione dell’Iva invocata dalla A. Auto s.r.l. – diritto che ha per oggetto “l’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione” (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19) – ma riguarda la diversa ipotesi della solidarietà del cessionario nell’obbligazione tributaria del cedente, nei confronti di alcuni beni individuati attraverso un decreto ministeriale (D.M. 22 dicembre 2005 e successive modifiche, che prevede, tra i diversi beni, gli autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi), qualora il venditore non provveda al versamento dell’imposta dovuta e la cessione sia stata effettuata a un prezzo inferiore al valore normale;

che l’Agenzia delle entrate, nel caso di specie, non ha provveduto a rivalersi nei confronti della A. Auto s.r.l. dell’Iva omessa dalla cedente, ipotesi in cui sarebbe stata prevista la solidarietà D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 60-bis, nei riguardi del reale fornitore (effettivo cedente), ma ha contestato l’indebita detrazione dell’Iva compiuta dalla A. Auto s.r.l. in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art 19, attenendo le fatture portate in detrazione a operazioni soggettivamente inesistenti;

che, pertanto, deve essere affermato il seguente principio di diritto: “il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, comma 2, che prevede la responsabilità solidale del cessionario in caso di mancato versamento dell’Iva da parte del cedente per le cessioni dei beni individuati dal D.M. 22 dicembre 2005 e successive modifiche, qualora siano effettuate a prezzi inferiori al valore normale, presuppone – a differenza del medesimo D.P.R., art. 21, comma 7, che concerne l’emissione di fatture per operazioni inesistenti – l’effettività dell’operazione, sotto fatturata rispetto al valore normale della cessione, tanto in relazione alla realtà economica, quanto al rapporto intersoggettivo tra cedente e cessionario, e quindi consente a quest’ultimo di portare in detrazione l’Iva non versata dal cedente e per la quale è stato chiamato al pagamento come obbligato solidale. In presenza di una operazione soggettivamente inesistente, che si verifica in caso di interposizione fittizia del cedente e che impedisce al fittizio cessionario di portare in detrazione la fattura, non trova applicazione il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis”.

che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si liquidano in Euro 7.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2019