Cass., sez. II pen., 3 luglio 2018, n. 29923 (testo)
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 aprile – 3 luglio 2018, n. 29923
Presidente Cammino – Relatore Verga
Ritenuto in fatto
Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Genova avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che il 16.11.2017 ha respinto l’appello del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del Tribunale di Genova che il 20.10.2017 non ha accolto la richiesta dell’organo dell’accusa di estendere l’esecuzione del sequestro fino alla concorrenza dell’importo originariamente indicato (Euro 48.969.617,00) nel provvedimento di sequestro preventivo datato 4 settembre 2017, limitando l’esecuzione del provvedimento ablatorio soltanto alla minor somma sino allora appresa ed escludendo che esso potesse avere ad oggetto anche le ulteriori somme confluite sul conto in epoca successiva all’accesso della G.d.F..
Il Tribunale del riesame, ritenuto il concreto interesse dell’appellante ad impugnare perché il provvedimento incideva in modo significativo e sostanziale sul quantum del sequestro preventivo disposto in data 4 settembre 2017, limitandolo pesantemente ad una somma assai minore rispetto a quella indicata nel decreto di sequestro preventivo, riteneva però che una volta tentata infruttuosamente la via del sequestro in forma diretta fosse possibile, come indicato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza Gubert, esperire la via alternativa del sequestro di valore e ciò anche quando l’incapienza fosse solo transitoria. Considerava pertanto non condivisibile la scelta di proseguire nella richiesta di sequestro in forma diretta nonostante l’esito infruttuoso dell’esecuzione sia perché ciò avrebbe comportato una estensione del sequestro cautelare a tempo indeterminato, sia perché era la stessa legge a consentire il sequestro di valore, una volta tentata infruttuosamente la via del sequestro diretto.
Deduce il Procuratore ricorrente violazione di legge. Rileva in particolare che la motivazione dei giudici di merito si fonda su un evidente errore di diritto perché secondo la sequenza procedimentale, delineata nelle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte, Lucci e Gubert, la possibilità, in caso di temporanea e reversibile infruttuosità del sequestro finalizzato alla confisca diretta, di procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell’imputato costituisce una facoltà per il pubblico ministero che certamente non preclude la possibilità di continuare, in parallelo, l’esecuzione della prima misura cautelare. Rileva che con riguardo al rapporto tra confisca diretta nei confronti dell’ente percettore del profitto e confisca per equivalente nei confronti dei responsabili della commissione del reato le Sezioni Unite nelle sentenze indicate hanno chiarito che la prima ha natura di misura di sicurezza, mentre la seconda ha natura sanzionatoria, che entrambe vanno obbligatoriamente ordinate, ma che, in fase cautelare o in fase esecutiva, deve essere prioritariamente tentata l’apprensione del profitto del reato a carico della persona – fisica o giuridica- che ne ha beneficiato, e che, solo in caso di incapienza di tale soggetto, può essere aggredito, con la confisca per equivalente, il patrimonio dell’autore o degli autori del reato. E sottolinea come sia stato ulteriormente chiarito dalla Sezioni Unite Gubert che in fase di esecuzione il rapporto tra i due provvedimenti ablatori è parallelo e progressivo, nel senso che è facoltà del P.M. procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dei responsabili del reato anche in caso di impossibilità solo temporanea e transitoria di recuperare l’intero profitto del reato a carico del soggetto che ne ha beneficiato senza necessità di pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, giacché, durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così vanificando ogni esigenza di cautela.
Evidenzia che, se la ratio della deroga alla regola generale della prioritaria esecuzione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta coincide con l’esigenza cautelare di evitare la possibile dispersione e/o sottrazione dei beni suscettibili di sequestro per equivalente da parte degli imputati e tale deroga rappresenta una facoltà e non un obbligo per il pubblico ministero, è del tutto evidente l’errore di diritto in cui è incorso il Tribunale del riesame di Genova laddove ha affermato che,una volta constatata la temporanea transitoria e parziale incapienza della persona giuridica percettrice del profitto del reato il pubblico ministero non avrebbe altra possibilità che quella di aggredire con il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente il patrimonio dei soggetti responsabili del reato essendo preclusa la possibilità di continuare parallelamente e progressivamente l’esecuzione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta,e quindi di sottoporre al vincolo cautelare anche le somme di denaro che in momenti successivi fossero entrati nella disponibilità dell’ente percettore del profitto del reato.
Sostiene che è del tutto inconferente anche l’argomento fatto valere dal Tribunale del riesame secondo cui l’opposta interpretazione comporterebbe una estensione a tempo indeterminato del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta. Una volta stabilito che, quando il profitto e il prezzo del reato è costituito da denaro non occorre dimostrare il nesso di pertinenzialità tra le somme da sottoporre a sequestro e il reato, non può evidentemente porsi un limite di carattere temporale all’esecuzione del sequestro, ma solo quello della concorrenza dell’importo complessivamente corrispondente al profitto o al prezzo del reato.
La (omissis) depositava memoria con la quale chiedeva l’inammissibilità del ricorso rilevando che quando le Sezioni Unite affermano che la confisca del denaro “è sempre confisca diretta” parlano del denaro che era nella disponibilità della persona giuridica al momento dell’esecuzione del sequestro e che per tale ragione si è confuso con il profitto. Rileva che tale interpretazione è stata fatta propria dal Tribunale nelle motivazioni della sentenza. Aggiunge che il Tribunale del Riesame ha totalmente ignorato la circostanza dell’avvenuto deposito della sentenza di primo grado che ha disposto la confisca limitandola alle somme depositate e la conseguente inammissibilità delle richieste del Pubblico Ministero di procedere anche al sequestro delle somme “depositande”. Sostiene che il Pubblico Ministero solo nel giudizio di merito di appello può chiedere l’eventuale confisca anche delle somme future.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato alla luce delle considerazioni di seguito espresse.
Appare opportuno, al fine di meglio comprendere le questioni sottoposte all’esame, richiamare i vari provvedimenti che hanno preceduto quello in questa sede impugnato.
Con sentenza in data 24.7.2017 il Tribunale di Genova condannava gli imputati B.U., BE.Fr., A.S., SA.Di. e T.A. per violazione dell’art. 640 bis c.p. e, ai sensi del combinato disposto degli artt. 640 quater e 322 ter c.p., disponeva, in accoglimento della richiesta del P.M., la confisca diretta a carico della “(omissis)” della somma di Euro 48.696.617,00, somma corrispondente al profitto – da tale ente percepito – dai reati per i quali vi era stata condanna. Conseguentemente il P.M. chiedeva ed otteneva dal Tribunale l’emissione di sequestro preventivo (provvedimento 4 settembre 2017) finalizzato alla confisca diretta nei confronti della (omissis) di detta somma di denaro. Il provvedimento ordinava il sequestro preventivo di somme di denaro depositate sui conti correnti bancari e/o libretti di risparmio e/o depositi bancari intestati o comunque riferibili alla (omissis), nonché di altri beni fungibili nella disponibilità della stessa fino alla concorrenza di Euro 48.969.617,00.
In sede di esecuzione del sequestro il Nucleo di P.T. delegato depositava relata di esecuzione chiedendo di precisare (poiché a quella data erano state sottoposte a sequestro sui conti e depositi riferibili alla (omissis) somme per l’importo complessivo di Euro 1.651.279,01) se l’esecuzione di detto decreto dovesse riguardare solo le somme giacenti sui conti della (omissis) al momento della notifica ed esecuzione del provvedimento, od anche le somme depositate successivamente.
La nota veniva trasmessa al Presidente del Tribunale che in data 19 settembre 2017 precisava che, come indicato nel dispositivo del provvedimento di sequestro del 4 settembre 2017, le somme da sottoporre a sequestro erano quelle depositate sui conti correnti bancari e/o libretti di risparmio e/o depositi bancari intestati o comunque riferibili alla (omissis), nonché altri beni fungibili nella disponibilità della stessa non oltre l’importo oggetto di confisca e non quelle depositande che sarebbero affluite in un momento successivo alla notifica ed esecuzione del provvedimento.
Il Tribunale del Riesame avanti il quale il pubblico ministero appellava la decisione del Presidente del Tribunale dichiarava inammissibile l’impugnazione perché proposta avverso provvedimento nullo in base al rilievo che detta pronuncia, avente contenuto decisorio, di sostanziale modifica del provvedimento di sequestro, doveva essere emessa dall’organo collegiale. Incidenter tantum il Tribunale indicava quale organo di esecuzione del sequestro preventivo lo stesso giudice dell’esecuzione cui il P.M. avrebbe dovuto, secondo il disposto degli artt. 92 e 104 Disp. Att. C.p.p., rivolgere la richiesta di estensione dell’esecuzione del sequestro preventivo.
Il P.M. chiedeva al Tribunale di Genova di estendere l’esecuzione del sequestro preventivo del 4 settembre 2017 anche alle somme depositate sui conti correnti bancari e/o libretti di risparmio e/o depositi bancari intestati o comunque riferibili alla (OMISSIS) dopo la notifica del decreto di sequestro alle banche o che verranno in futuro depositate su detti conti o rapporti bancari, fino a concorrenza dell’importo confiscato, evidenziando che l’ammontare complessivo delle somme giacenti presso gli istituti bancari individuati dalla polizia giudiziaria all’atto della notifica del sequestro preventivo ammontava complessivamente ad Euro 3.150.642,19.
Il Tribunale con ordinanza in data 20 ottobre 2017 respingeva la richiesta, sostenendo che ai fini della confisca diretta, anche quando il profitto è costituito da denaro, è comunque necessario stabilire un nesso di pertinenzialità tra i reati e le somme da apprendere e che tale nesso è interrotto dalla intervenuta esecuzione del sequestro.
Il P.M. appellava detta pronuncia avanti il Tribunale del Riesame che respingeva il gravame ritenendo non condivisibile la scelta di proseguire nella richiesta di sequestro in forma diretta nonostante l’esito infruttuoso dell’esecuzione sia perché ciò avrebbe comportato una estensione del sequestro cautelare a tempo indeterminato, sia in quanto era la stessa legge a consentire il sequestro di valore, una volta tentata infruttuosamente la via del sequestro diretto.
Tutto ciò premesso deve rilevarsi che è indubbio che il Tribunale di Genova con la sentenza 24.7.2017 ha condannato gli imputati B.U., BE.Fr., A.S., SA.Di. e T.A. per violazione dell’art. 640 bis c.p. e ai sensi del combinato disposto degli artt. 640 quater e 322 ter c.p. ha disposto, in accoglimento della richiesta del P.M., la confisca diretta a carico della “(OMISSIS)” della somma di Euro 48.696.617,00, somma corrispondente al profitto dei reati commessi dai suoi rappresentanti, costituito dalle somme erogate, ai sensi della L. n. 2/97 e n. 57/99, e percepite attraverso l’accredito sui conti correnti ad essa intestati. La confisca del profitto di reato è infatti possibile anche nei confronti di una persona giuridica per i reati commessi dal legale rappresentante o da altro organo della stessa, quando il profitto sia rimasto nella sua disponibilità.
Il Pubblico Ministero per evitare che le eventuali lungaggini del processo penale potessero rendere inutile il provvedimento di confisca disposto dal Tribunale ha chiesto ed ottenuto il sequestro preventivo delle somme di denaro depositate sui conti correnti bancari e/o libretti di risparmio e/o depositi bancari intestati o comunque riferibili alla (omissis), nonché di altri beni fungibili nella disponibilità della stessa fino alla concorrenza di detta somma di Euro 48.969.617,00. Provvedimento che è stato emesso in osservanza dei presupposti di legge e che non è stato oggetto di impugnazione da parte della (omissis).
Questa Corte a Sezioni Unite, come ricordato dal P.M. ricorrente, ha infatti affermato che ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. Un., n. 10561 del 30/01/2014, dep.05/03/2014, Gubert, Rv. 258647 nonché Sez. Un., n. 31617 del 26/06/2015, dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264437). Come sottolineato in particolare dalle Sezioni Unite Lucci proprio la natura fungibile del bene, che si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche del percipiente ed è tale da perdere – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita; ciò che rileva è che le disponibilità monetarie in questo caso dell’ente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo. È la prova della percezione illegittima della somma che conta, e non la sua materiale destinazione: con la conseguenza che, agli effetti della confisca, è l’esistenza del numerarlo comunque accresciuto di consistenza a rappresentare l’oggetto da confiscare, senza che assumano rilevanza alcuna gli eventuali movimenti che possa aver subito quel determinato conto bancario.
Solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. La ratio essendi della confisca di valore,o per equivalente, sta, infatti, nella impossibilità di procedere alla confisca “diretta” della cosa che presenti un nesso di derivazione qualificata con il reato. Come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Lucci “la trasformazione, l’alienazione o la dispersione di ciò che rappresenti il prezzo o il profitto del reato determina la conseguente necessità, per l’ordinamento, di approntare uno strumento che, in presenza di determinate categorie di fatti illeciti, faccia si che il “beneficio” tratto dal reato, ove fisicamente non rintracciabile, venga ad essere concretamente sterilizzato sul piano patrimoniale, attraverso una misura ripristinatoria che incida direttamente sulle disponibilità dell’imputato, deprivandolo del tantundem sul piano monetario. Da qui, la logica strutturalmente sanzionatoria della confisca di valore, dal momento che è l’imputato che viene ad essere direttamente colpito nelle sue disponibilità economiche (e non la cosa in quanto derivante dal reato), e ciò proprio perché autore dell’illecito. È evidente, pertanto, che, in una simile prospettiva, l’oggetto della confisca di valore finisce per non presentare alcun nesso di pertinenzialità col reato, rappresentandone soltanto la conseguenza sanzionatoria: né più né meno, dunque, della pena applicata con la sentenza di condanna.
Quindi, soltanto nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro sorge la eventualità di far luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l’imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o profitto del reato, perché, in tal caso, si avrebbe quella necessaria novazione oggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore (l’oggetto della confisca diretta non può essere appreso e si legittima, così, l’ablazione di altro bene dell’imputato di pari valore).
L’impossibilità di reperimento e sequestro dei profitti illeciti, che condiziona l’adozione di un provvedimento di sequestro preventivo in funzione della confisca per equivalente, non deve necessariamente essere assoluta e definitiva, ma può riguardare anche un’impossibilità transitoria o reversibile, purché esistente nel momento in cui viene richiesta e disposta la misura cautelare reale finalizzata alla confisca per valore. La possibile precarietà di tale circostanza di fatto condiziona anche l’onere di motivazione del provvedimento cautelare, che deve essere limitato al richiamo della sia pur momentanea indisponibilità del bene, senza che sia necessario dare dettagliatamente conto delle attività volte alla ricerca dell’originario prodotto o profitto del reato. D’altra parte, se l’adozione della cautela fosse condizionata alla completa esecuzione di tali ricerche, la funzione cautelare del sequestro potrebbe essere facilmente elusa durante il tempo occorrente per il loro compimento. (in tal senso N. 32797 del 2002 Rv. 222741, N. 19662 del 2007 Rv. 236592, N. 2823 del 2009 Rv. 242653; N. 30930 del 2009 Rv. 244934).
Può quindi affermarsi che la confisca per equivalente e prima ancora il sequestro finalizzato a detta confisca ha funzione sussidiaria rispetto a quella tradizionale (confisca diretta) che ha connotati riparatori e finalità non repressive ma ripristinatorie dello status quo ante.
Dunque se è indubbio che la misura ablativa finalizzata a privare l’autore del reato dei vantaggi derivati dalla sua attività criminosa è destinata ad operare in tutti quei casi in cui la confisca diretta non sia possibile per i più svariati motivi, anche temporanei, è pur vero che l’avere azionato detta misura, a fronte della sussistenza di tutti i presupposti di legge, non impedisce di sottoporre a provvedimento cautelare ulteriori beni costituenti l’utilità economica tratta dall’attività illecita.
A seguito di decreto del 4 settembre 2017 sono state sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta le somme di denaro depositate sui conti, libretti o depositi della (OMISSIS) che aveva visto accrescere il proprio patrimonio, grazie ai reati commessi dai suoi rappresentanti B., BE., A., SA. e T., dell’importo di Euro 48.696.617,00.
La richiesta avanzata in corso di esecuzione dal Pubblico Ministero di estendere l’originario provvedimento cautelare, che era finalizzato alla confisca diretta della somma di Euro 48.696.617,00, anche alle somme affluite in un momento successivo alla data di esecuzione del decreto di sequestro del 4.9.2017 sui conti e depositi riferibili alla (omissis), nei limiti del quantum del provvedimento ablatorio originario, non comporta novazione, stante l’irrilevanza della fonte del sequestro perché l’oggetto della misura cautelare è sempre quella del decreto originario, che tra l’altro non è stata oggetto di contestazione, e cioè l’esistenza di disponibilità monetarie della percipiente (omissis) che si sono accresciute del profitto del reato, legittimando così la confisca diretta del relativo importo, ovunque e presso chiunque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all’esecuzione del provvedimento genetico.
Come già indicato la fungibilità del denaro e la sua stessa funzione di mezzo di pagamento non impongono che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque venga rinvenuta, una volta accertato, come nel caso in esame, il rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, fra il danaro oggetto del provvedimento di sequestro ed il reato del quale costituisce il profitto illecito. Trattasi infatti di assicurare ciò che proviene dal reato la cui confisca è obbligatoria ai sensi del combinato disposto degli artt. 640 quater e 322 ter co 1 c.p.
Deve aggiungersi che nessuna rilevanza assume nell’ambito della presente procedura incidentale quanto indicato nella motivazione della sentenza del Tribunale di Genova del 24.7.2017 che potrà essere oggetto di gravame nelle sedi competenti, a fronte di un’ordinata confisca, a carico della (omissis) della somma di Euro 48.969617,00, quale profitto dei reati commessi dai suoi legali rappresentanti.
Alla luce delle considerazioni espresse il provvedimento impugnato deve essere annullato e deve essere disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Genova per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame, con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Genova (Sezione per il riesame e gli appelli relativi alle misure cautelari reali).