201711.29
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Cass., sez. trib., 29 novembre 2017, n. 28543 (testo)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2621-2012 proposto da:

A.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FLAMINIA VECCHIA 785, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ADORNATO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TESAURO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2011 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 13/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2016 dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GRADARA per delega dell’Avvocato TESAURO che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che si riporta al controricorso e chiede il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.

Svolgimento del processo

La CTR di Milano, con sentenza del 12 ottobre 2010, ha, in accoglimento della impugnazione formulata dalla Amministrazione tributaria, annullato la sentenza con la quale la CTP di Pavia aveva accolto il ricorso proposto da A.C. nei confronti dell’avviso di accertamento con il quale era stato rettificato il reddito imponibile, ai fini del calcolo di IVA, IRPEF ed IRAP, prodotto dal medesimo nell’anno di imposta 2004, elevandolo da Euro 865.908,00, come dichiarato, ad Euro 926.917,00.

Va precisato che il Giudice di primo grado aveva annullato l’atto impugnato avendo osservato che lo scostamento fra quanto dichiarato e quanto accertato non consentiva il ricorso al metodo di accertamento basato sulla applicazione degli studi di settore.

In sede di gravame, la CTR di Milano ha ritenuto che i pur legittimi rilievi formulati dal contribuente in relazione alla concreta applicazione nel caso in questione della metodica di accertamento basata sugli studi di settore non consentivano in ogni caso l’integrale caducazione dell’avviso di accertamento, posto che il contribuente in sede di tentativo di accertamento con adesione, aveva comunque manifestato la sua disponibilità ad adeguare il reddito dichiarato, elevandolo si Euro 33.255,00.

In tal senso è stata, pertanto, adottata la sentenza di parziale accoglimento del gravame proposto dalla Amministrazione tributaria.

Ha interposto ricorso per cassazione l’ A., affidandolo a sei motivi di impugnazione.

Col primo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata per avere la CTR sostituito il criterio adottato dalla Amministrazione per l’accertamento del reddito, cioè l’applicazione dello studio di settore, con un altro autonomo criterio; col secondo motivo è stata dedotta la contraddittorietà della motivazione per avere la CTR da un lato ritenuto fondata la censura del contribuente, salvo poi rettificare la indicazione di reddito da lui formulata in sede di dichiarazione.

Col terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR nel valutare come sostanziale confessione la disponibilità manifestata dal contribuente, e non recepita dalla Amministrazione finanziaria, in sede di tentativo di accertamento con adesione.

Col quarto motivo l’ A. ha dedotto la illegittimità della impugnata sentenza per non esse:e stata in essa rilevata la nullità dell’avviso di accertamento nella parte in cui la Amministrazione non si era data carico di rispondere alle osservazioni introdotte dal contribuente in sede di tentativo di accertamento con adesione. Tale rilievo era valorizzato, con il quinto motivo, anche sotto il profilo della omessa motivazione.

Infine col sesto motivo era stata dedotta la nullità della sentenza impugnata stante il contrasto fra la motivazione di essa, ove si afferma la fondatezza del gravame, ed il dispositivo nel quale è rideterminato, maggiorandolo il reddito del contribuente.

Resiste con controricorso l’Amministrazione, contestando la ammissibilità, oltre che la fondatezza dei motivi di impugnazione proposti.

Con memoria depositata in data 30 novembre 2016, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, rivendicando, in specie, la ammissibilità e la fondatezza, contestate dalla Amministrazione resistente, del quarto motivo di impugnazione.

Motivi della decisione

Il ricorso non è meritevole di accoglimento, essendo i motivi di impugnazione posti alla sua base in parte inammissibili ed in parte infondati.

Con riferimento ai primi due motivi di impugnazione, suscettibili di essere trattati congiuntamente stante la loro logica connessione, osserva la Corte che nella decisione della CTR di Milano, la quale, pur riconosciuto che nel caso in esame non era consentito di ricorrere alla metodologia degli studi di settore ai fini dell’accertamento del maggior reddito prodotto dall’ A., ha tuttavia provveduto a elevare, sia pure in misura decisamente meno spiccata da quanto precedentemente fatto dalla Amministrazione finanziaria, l’entità del reddito imponiblie prodotto dall’ A. nel corsi dell’anno di imposta 2004, non è ravvisabile nè una violazione di legge nè un vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà.

Invero, come questa Corte ha ripetutamente ribadito, dalla natura del processo tributario – il quale non è annoverabile tra quelli di “impugnazione-annullamento”, ma tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio – discende che, ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento, anche relativo, come nella specie, ad IRPEF, IRAP ed IVA, per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Corte di cassazione, Sezione 5 civile, 28 novembre 2014, n. 25317; idem Sezione 5 civile, 19 settembre 2014, n. 19750; idem Sezione 6-5 civile, 21 novembre 2013, n. 26157, ord.; idem Sezione 6-5 civile, 24 luglio 2012, n. 13134, ord.).

E’, in applicazione dell’esposto principio, facendo corretta e non contraddittoria attuazione della normativa che disciplina la materia che, pertanto, la CTR ha bensì ritenuto inadeguato l’importo del maggior reddito imponibile accertato con l’atto impugnato, sostituendolo con altro importo da essa ritenuto congruo.

Anche il terzo motivo di impugnazione è infondato.

Erra, infatti, il ricorrente nel ritenere che la CTR abbia ritenuto congrua la maggiorazione nella misura di Euro 33.255,00 del reddito dichiarato dal contribuente, considerando una pretesa natura confessoria di quanto dal medesimo dichiarato nel corso del tentativo di accertamento con adesione.

Come è, infatti, chiaro dal tenore della motivazione, nulla depone nel senso dedotto dal ricorrente, risultando, semmai, che la Commissione abbia preso come parametro di riferimento, in assenza di elementi in senso contrario forniti dal contribuente, il minimo ricavo per la categoria merceologica cui il contribuente medesimo appartiene.

Non vi è stata, pertanto, una valutazione in termini di dichiarazione confessoria, la quale non avrebbe tollerato prova contraria, ma semmai la adozione di un criterio di prudente ragionevolezza logicamente ancorato alla omessa allegazione di elementi da parte dell’attuale ricorrente volti a contrastare le risultanze di tale criterio.

Ragionamento analogo a quello fatto per i primi due motivi di impugnazione vale anche per il sesto motivo, non essendo riscontrabile il dedotto contrasto fra motivazione della sentenza e dispositivo, atteso che, come detto, la natura del giudizio tributario, caratterizzata, ove non venga dedotta una nullità formale dell’atto impugnato ma una sua illegittimità sostanziale, dalla necessità, in caso di accoglimento del ricorso, di sostituire al contenuto dell’atto impugnato quello corretto, imponeva, una volta annullato l’avviso di accertamento opposto, come correttamente fatto dalla CTR, di rideterminare l’entità dei maggiori ricavi non dichiarati dal contribuente.

Con riferimento ai motivi quarto e quinto del ricorso, riferiti – sotto il profilo della omessa o comunque insufficiente motivazione della sentenza impugnata – al fatto che in sede di giudizio di merito non sia stata data congrua risposta alle censure svolte da parte ricorrente nel corso del contraddittorio svoltosi in occasione del tentativo di accertamento con adesione, ed aventi ad oggetto la utilizzabilità ai fini della quantificazione del maggior reddito, delle risultanze derivanti dallo studio di settore indicato nell’avviso di accertamento ne rileva la Corte la loro inammissibilità.

Posto, infatti, che la CTR, concordando con la CTP, ha espressamente ritenuto non direttamente applicabili al caso in esame le risultanze dello studio di settore di cui all’avviso di accertamento impugnato, non vi era alcun interesse in sede giurisdizionale a sindacare la concludenza e la fondatezza o meno di tutte le censure rivolte a detta applicazione, posto che questa non è stata ritenuta pertinente al caso in esame; le doglianze formulata dal ricorrente in sede amministrativa, anche se reiterate in sede contenziosa, non avrebbero, pertanto, comunque giustificato una puntuale valutazione di esse da parte degli organi giurisdizionali in quanto riferite ad un tema già definitivamente considerato non rilevante ai fini del decidere.

Alla soccombenza del ricorrente fa seguito la condanna del medesimo alla rifusione delle spese del grado in favore della Amministrazione resistente, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il primo, il secondo, il terzo ed il sesto motivo di ricorso; dichiara inammissibili il quarto ed il quinto motivo di ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del grado nei confronti della resistente Agenzia delle entrate, liquidandole in Euro 3500,00, oltre alle spese prenotate a debito e gli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2017