Cass., sez. III pen., 9 febbraio 2017, n. 6053 (testo)
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 ottobre 2016 – 9 febbraio 2017, n. 6053
Presidente Carcano – Relatore Riccardi
Ritenuto in fatto
1. S.O. e L.I. ricorrono per cassazione avverso l’ordinanza del 27/04/2016 emessa dal Tribunale del riesame di Monza, con la quale, in parziale accoglimento del riesame proposto dagli indagati, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Monza il 07/03/2016 fino all’importo di Euro 7.842.079,00.
Il decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente era stato emesso in relazione al profitto del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen. e 2 d.lgs. 74/2000, con riferimento sia all’IVA che all’IRES; con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame, rilevando che il Gip aveva disposto il sequestro ultrapetitum, anche in relazione all’evasione dell’IRES, confermava il provvedimento limitatamente all’evasione dell’IVA, pari all’importo di Euro 7.842.079,00.
Con un primo motivo i ricorrenti deducono la nullità dell’ordinanza impugnata, che, in accoglimento della doglianza concernente il difetto di domanda cautelare in relazione all’evasione dell’IRES, si è limitata a dichiarare illegittimo il decreto per la parte eccedente la richiesta, anziché ravvisarne la nullità.
Con un secondo motivo viene dedotta la violazione di legge, sotto il profilo della assoluta mancanza di motivazione, in relazione all’impossibilità, anche transitoria e reversibile, di disporre il sequestro preventivo diretto; lamenta che il Tribunale del riesame non si sia conformato al principio di diritto, espresso anche dalle Sezioni Unite, secondo cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, seppure transitoriamente, ovvero quando detti beni non siano aggredibili per qualsiasi ragione; nel caso in esame, infatti, non è stata accertata l’impossibilità, anche transitoria e reversibile, di poter apprendere il profitto diretto tra i beni nella disponibilità della società “OS Trading”, percettrice del vantaggio fiscale, e, quindi, del profitto diretto del reato.
Con un terzo motivo viene dedotta la violazione di legge in relazione all’art. 2 d.P.R. n.180 del 1950, avendo il sequestro avuto ad oggetto anche un fondo pensionistico di S.O. , sottoposto ai medesimi limiti di sequestrabilità delle pensioni.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto l’ordinanza impugnata, confermando il decreto di sequestro genetico limitatamente al profitto corrispondente all’evasione dell’IVA, ha di conseguenza annullato il vincolo reale in relazione al profitto derivante dall’evasione dell’IRES, in quanto non oggetto di domanda cautelare, dichiarandolo espressamente illegittimo (p. 2).
3. Il secondo motivo è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l’impossibilità del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648).
Tanto premesso, l’ordinanza impugnata non risulta avere fatto corretta applicazione dei principi richiamati, sostenendo che non è necessaria la previa richiesta (e adozione) di un sequestro preventivo diretto del profitto del reato, e, in caso di esito negativo della ricerca, la richiesta (e adozione) di un sequestro per equivalente dei beni del legale rappresentante dell’ente, essendo onere dell’indagato provare la concreta esistenza di beni nella disponibilità della società su cui disporre la confisca diretta per evitare la confisca per equivalente.
Invero, la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito che, in tema di reati tributari commessi dai legali rappresentanti della persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto può essere disposto sui beni personali degli amministratori solo nell’ipotesi in cui il profitto (o i beni ad esso direttamente riconducibili) non sia più nella disponibilità della persona giuridica (Sez. 3, n. 30486 del 28/05/2015, Antenucci, Rv. 264392), sicché, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato (Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Scognamiglio, Rv. 265028, in una fattispecie in cui la Corte ha escluso la legittimità dell’emissione di un decreto di sequestro per equivalente in difetto di una verifica, sommaria e allo stato degli atti, dell’impossibilità di procedere al sequestro di somme di denaro, costituendo quest’ultimo un sequestro in forma “diretta”) o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta (Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014, dep. 2015, Bartolini, Rv. 261929).
Nello stesso senso, è stato affermato che è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato; tuttavia al fine di poter disporre la confisca diretta del profitto nei confronti della persona giuridica è pur sempre necessario che risulti la disponibilità nelle casse societarie di denaro da aggredire, non sussistendo un obbligo per la Pubblica Accusa di dover provvedere alla preventiva ricerca di liquidità o cespiti anche nel caso in cui risulti “ex actis” l’incapienza del patrimonio dell’ente (Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014, dep. 2015, Mataloni, Rv. 262770, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro per equivalente in quanto dagli atti emergeva una situazione di oggettiva illiquidità desumibile dalla autorizzazione alla C.I.G. e dalla approvazione del programma di crisi aziendale).
Anche la sentenza di questa Corte richiamata dall’ordinanza impugnata, secondo cui, quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta (Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015, Klein, Rv. 265158), non manca di precisare, in motivazione, i limiti dell’onere probatorio imposto: “nella fase successiva all’imposizione del vincolo cautelare, che presuppone (…) l’accertata impossibilità, quantunque transitoria, di reperire presso la persona giuridica il profitto cd. diretto, e prima che sia disposta la confisca per equivalente dei beni nella disponibilità dell’imputato, vi è un onere di allegazione e prova da parte di quest’ultimo di indicare i beni sui quali sia possibile disporre la confisca diretta nei confronti della società”.
Va, pertanto, ribadito il principio secondo cui la richiesta e l’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente sono legittimi solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto diretto del reato sia impossibile, o quando i beni non siano aggredibili; pur non essendo necessario un vero e proprio accertamento, quale presupposto della richiesta cautelare di un sequestro per equivalente, nondimeno il P.M. non ha una libertà di scelta tra il sequestro diretto e quello per equivalente, potendo chiedere quest’ultimo solo all’esito di una valutazione sommaria, sulla base del compendio indiziario acquisito, in ordine alle disponibilità patrimoniali dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, ma senza la necessità di specifici accertamenti preliminari o di una ricerca generalizzata di beni sociali; corrispondente ai limiti della richiesta del P.M. è il potere di disporre in via principale un sequestro per equivalente, la cui adozione è subordinata ad un onere di motivazione che riconosca una pur momentanea indisponibilità di beni dell’ente, senza necessariamente dar conto delle attività svolte alla ricerca dell’originario profitto del reato.
Nella fattispecie in esame, dal ricorso risulta che la richiesta cautelare abbia avuto ad oggetto il sequestro per equivalente, senza alcuna considerazione dell’impossibilità di un sequestro diretto; nel medesimo solco, anche l’ordinanza impugnata non ha dato conto dell’impossibilità del reperimento dei beni costituenti il profitto del reato, che, essendo, nel caso di specie, rappresentato dal risparmio di spesa derivante dall’evasione di imposta, e, dunque, da una somma di denaro, era altresì suscettibile di confisca diretta (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437: “Qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato”).
3. L’accoglimento del secondo motivo, con conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata, e rinvio al Tribunale di Monza, Sezione riesame, per nuovo esame, assorbe la questione proposta con il terzo motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Monza, Sezione riesame.