Cass., sez. I pen., 2 gennaio 2017, n. 51 (testo)
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 dicembre – 2 gennaio 2017, n. 51
Presidente Di Tomassi – Relatore Aprile
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento impugnato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto le opposizioni presentate, a norma dell’art. 667, comma 4, c.p.p., dal ricorrente e dal terzo CPM s.r.l. avverso l’ordinanza di confisca di tre immobili e una autovettura emessa dal medesimo ufficio a norma dell’art. 12-sexies, comma 1, decreto-legge n. 306/1992, convertito in legge n. 356/1992, in relazione alla condanna divenuta definitiva per i delitti di usura continuata in concorso, commessi in epoca anteriore prossima al 31 marzo 2001 e in data anteriore prossima al 31 dicembre 2001 (nonché in relazione al delitto di tentata estorsione aggravata in concorso commesso in data anteriore prossima al 31 dicembre 2001 e in data anteriore prossima al 1 gennaio 2002).
2. Ricorre C.G. , a mezzo del difensore avv. Tiziana Bellani, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato formulando tre motivi di ricorso.
2.1. Osserva, con il primo motivo, che l’ordinanza è affetta da nullità per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 12-sexies, DL n. 306/1992, sotto il profilo del nesso di derivazione dei beni confiscati rispetto al reato contestato. Lamenta, altresì, l’assenza di motivazione.
2.2. Osserva, con il secondo motivo, che l’ordinanza è affetta da nullità per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 12-sexies, DL n. 306/1992, nonché da nullità per la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento alla adempiuta dimostrazione della lecita provenienza dei beni oggetto di confisca con specifico riferimento agli immobili siti in (omissis) .
2.3. Osserva, con il terzo motivo, che l’ordinanza è affetta da nullità per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 12-sexies, DL n. 306/1992, nonché da nullità per la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riguardo alla lecita disponibilità dell’immobile di via (…).
Considerato in diritto
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato.
1.1. Va premesso che, per la natura propria del procedimento esecutivo all’esito del quale è stata assunta l’ordinanza impugnata, la stessa va letta unitamente all’ordinanza emessa de piano il 5 luglio 2013 con la quale è stata disposta la confisca dei beni in discorso.
Dovendo analizzare le censure mosse nel ricorso si farà, dunque, riferimento all’apparato motivazionale contenuto nell’ordinanza de piano, nonché in quella assunta a seguito dell’opposizione proposta a norma dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen..
Preliminarmente, è opportuno rammentare che il ricorrente è stato condannato in via definitiva, tra l’altro, per più ipotesi di usura e che dall’esame della sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Milano il 3 marzo 2004 (divenuta irrevocabile il 18.4.2004), che conferma la sentenza del GUP del Tribunale di Milano del 28 febbraio 2003, emerge come lo stesso abbia, per tali reati, percepito somme di denaro.
In conformità a tale premessa, il Pubblico ministero ha richiesto al giudice dell’esecuzione, a mente degli artt. 676, comma 1, e 667, comma 4, cod. proc. pen., l’applicazione della confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies, DL n. 306/1992; il giudice dell’esecuzione, con ordinanza emessa de piano in data 5 luglio 2013, ha ordinato la confisca di tre immobili e di una autovettura.
È, quindi, indubbia l’esistenza di un nesso tra la sentenza di condanna per i delitti di usura e il provvedimento di confisca di cui oggi si discute.
Parimenti è doveroso evidenziare che gli accertamenti di natura tributaria sui quali si fonda l’ordinanza impugnata non vengono confutati in sede di ricorso, tanto che può darsi per acquisito che il ricorrente non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi nel periodo intercorrente tra il gennaio 2002 il dicembre 2011.
1.2. In proposito, quindi, può essere richiamato il costante orientamento di legittimità secondo il quale “la confisca prevista dall’art. 12 sexies del D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992 n. 356, ha struttura e presupposti diversi da quella ordinaria, in quanto, mentre per quest’ultima assume rilievo la correlazione tra un determinato bene e un certo reato, nella prima viene in considerazione il diverso nesso che si stabilisce tra un patrimonio ingiustificato e una persona nei cui confronti sia stata pronunciata condanna o applicata la pena patteggiata per uno dei reati indicati nell’articolo citato. Ne consegue che, ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi di tale articolo, è necessario accertare, quanto al fumus commissi delicti, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al periculum in mora, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi” (Sez. 6, Sentenza n. 26832 del 24/03/2015, Simeoli, Rv. 263931).
Prima di esaminare dettagliatamente i motivi di ricorso, va evidenziato che il Collegio condivide il costante orientamento di legittimità secondo il quale “in tema di sequestro preventivo di beni confiscabili a norma dell’art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356, dalla accertata sproporzione tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio scatta una presunzione (iuris tantum) di illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato” (Sez. 2, Sentenza n. 29554 del 17/06/2015, Fedele, Rv. 264147).
Con riferimento alla data di acquisizione dei beni suscettibili di confisca, deve essere rammentato, con le precisazioni che saranno fra poco esposte, l’orientamento di legittimità espresso da SU Montella secondo il quale “la condanna per uno dei reati indicati nell’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356 comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorché, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di talché, essendo irrilevante il requisito della “pertinenzialità” del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato” (Sez. U, Sentenza n. 920 del 17/12/2003 dep. 2004, Montella, Rv. 226490).
1.2.1. Deve essere subito precisato che la massima sopra riportata, tratta dalla sentenza SU Montella, non dà conto di alcuni importanti elementi che si rivelano imprescindibili per determinarne l’esatta portata.
Innanzitutto, la decisione è stata assunta in sede cautelare, tanto che risulta del tutto estraneo al caso deciso (la massima è stata tratta da un passaggio della motivazione che non contiene, infatti, alcun riferimento alla sentenza di condanna) qualsiasi riferimento alla circostanza che gli acquisti fossero stati effettuati “in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna”.
Nel caso oggetto della sentenza SU Montella, poi, una parte dei beni colpita da sequestro ex art. 12-sexies, DL n. 306/1992, era stata acquistata negli anni 1994 e 1995 e cioè in un periodo di tempo in cui erano stati posti in essere alcuni episodi delittuosi dell’usura per la quale si procedeva ed in relazione alla quale era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, tanto che detti episodi di reato erano stati individuati nel periodo intercorrente tra il 1990 e il 1999, dunque in un ambito temporale che ricomprendeva gli acquisti sospetti.
Così ricostruito il contenuto della sentenza SU Montella, deve concludersi che essa non consente di affermare l’irrilevanza della data di acquisto dei beni rispetto alla data di commissione del reato, dovendosi, piuttosto, indagare la rilevanza del tempo con riguardo alla persistenza del sospetto di illecita accumulazione, essendo illogico escludere detto sospetto per i beni acquistati nell’arco temporale in cui il delitto è stato commesso.
Vanno, in proposito, tenuti distinti due diversi ambiti temporali: uno relativo agli acquisti effettuati in data anteriore al reato e uno concernente gli acquisti effettuati in epoca successiva ad esso.
1.2.2. In ordine agli acquisti successivi alla data di consumazione del reato, il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “la confisca prevista dall’art. 12-sexies D.L. 8 giugno 1992 n.306, non può essere disposta in relazione a beni acquistati dal condannato dopo la sentenza di condanna, giacché, da un lato si vanificherebbe ogni distinzione della disciplina di tale tipo di confisca con quella delle misure di prevenzione e, dall’altro, si attribuirebbero al giudice dell’esecuzione compiti di accertamento tipici del giudizio di cognizione” (Sez. 1, Sentenza n. 12047 del 11/02/2015, Nikolla, Rv. 263096).
Rispetto a tale condivisibile principio, è utile precisare, tuttavia, che deve aversi riguardo non tanto alla data di pronuncia della sentenza, quanto piuttosto alla data di irrevocabilità della sentenza.
Infatti, è del tutto ragionevole affermare che la presunzione d’illecita accumulazione, introdotta dall’art. 12-sexies, DL n.306/1992, trova il proprio fondamento nell’accertamento, definitivo, della commissione di uno dei delitti indicati nel medesimo articolo, tanto che, in quest’ottica, assume carattere assorbente l’epilogo della vicenda processuale: soltanto l’irrevocabilità della sentenza di condanna determina il momento fino al quale opera la presunzione.
Deve, quindi, ritenersi che il giudice dell’esecuzione possa disporre la confisca prevista dall’art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n.306, dei beni acquistati o comunque entrati nella disponibilità del condannato fino alla data di passaggio in giudicato della sentenza di condanna, giacché fino a tale momento opera la presunzione d’illecita accumulazione del patrimonio.
Va, in ogni caso, ricordato che resta esclusa dall’operatività dell’indicato principio “l’ipotesi in cui il bene sia stato acquistato successivamente alla sentenza ma con denaro che risulti essere stato in possesso del condannato prima della sentenza” (così, in motivazione, Sez. 2, Sentenza n. 46291 del 06/11/2012, Polinti, Rv. 255239). In questo caso il bene, acquistato in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza, è assoggettabile a confisca, ma è richiesto uno specifico accertamento sulla circostanza che le risorse finanziarie impiegate per l’acquisto fossero nella disponibilità del condannato in epoca anteriore.
1.2.3. Per quanto riguarda, invece, gli acquisti effettuati prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, la giurisprudenza è incline a riconoscere l’assoggettabilità a confisca del patrimonio acquisito prima e durante il reato, con il limite della “ragionevole distanza” da esso.
In proposito, il Collegio condivide l’orientamento di legittimità secondo il quale “in tema di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 12-sexies D.L. n. 306 del 1992, convertito in legge n. 356 del 1992, la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano ictu oculi estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione” (Sez. 1, Sentenza n. 41100 del 16/04/2014, Persichella, Rv. 260529).
Come si è visto al paragrafo n. 1.2.1., la sentenza Su Montella non costituisce ostacolo alla previsione di una tale limitazione, in termini di ragionevolezza, dell’ambito temporale entro cui opera il sospetto di illecita accumulazione.
2. Fatte le sopra riportate doverose premesse, possono, finalmente, essere esaminati i motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 12-sexies, DL n. 306/1992, sotto il profilo del nesso di derivazione dei beni confiscati rispetto al reato contestato, è fondato poiché viene censurata, seppure con argomentazione non sempre di facile lettura, l’interpretazione della norma di legge da parte del giudice dell’esecuzione il quale ha errato nell’ordinare la confisca di beni acquisiti in data successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Come si è visto al paragrafo n. 1.2.2., non ricadendo sotto la presunzione di illecita accumulazione i beni acquistati in data successiva al passaggio in giudicato della sentenza, il ricorso va accolto con riferimento agli immobili siti in (omissis) che sono stati acquistati nel corso dell’anno 2008, oltre quattro anni dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna per usura e che, quindi, non possono essere attinti dalla misura ablativa.
In proposito, tuttavia, deve tenersi presente che la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi impone di verificare la provenienza delle risorse finanziarie utilizzate per detti acquisti, al fine di escludere che esse derivino dal reato.
Va, quindi, disposto l’annullamento con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano che procederà a nuovo giudizio, con specifico riguardo alla verifica della provenienza delle risorse finanziarie utilizzate per l’acquisto dei beni situi (omissis) .
2.2. Il secondo motivo di ricorso, attinente i medesimi beni siti in (omissis) , resta, quindi, assorbito.
2.3. Anche il terzo motivo di ricorso, attinente i beni siti in (omissis) , è fondato.
2.3.1. La difesa premette che l’appartamento di via Chopin era stato acquistato dal ricorrente, unitamente alla prima moglie, nel dicembre dell’anno 1985 al prezzo di Lire 130.000.000, pagato per Lire 42.505.453 all’atto del rogito e per la restante parte mediante mutuo fondiario.
L’appartamento in questione è stato poi venduto nel 2002 alla società CPM S.r.l. di cui è titolare B.M. , descritto quale fraterno amico del ricorrente, per il dichiarato prezzo di euro 128.000.
La difesa afferma, ripetutamente, che si tratta di una vendita effettiva e non simulata. In relazione a tale negozio, peraltro, è emerso che del prezzo pattuito sono stati corrisposti soltanto euro 72.127,76, utilizzati per estinguere la quota residua del mutuo fondiario.
A dire del ricorrente il pagamento del prezzo di vendita dell’immobile sarebbe stato effettuato in contanti (per la restante parte del prezzo dovuto, pari a euro 55.872,24).
È, altresì, emerso – in maniera non contestata – che il ricorrente ha continuato a occupare l’appartamento e ha utilizzato anche un box sito nel medesimo edificio sempre di proprietà della indicata società, per asserite ragioni di amicizia, in mancanza di un valido titolo.
A giudizio della difesa, quindi, sarebbe stata fornita ampia prova della legittima provenienza dei beni suddetti, nonché del reale ed effettivo trasferimento dell’appartamento alla società.
2.3.2. Il giudice dell’esecuzione ha motivato in ordine alla inattendibilità delle giustificazioni offerte circa la disponibilità dei beni sulla base della considerazione che:
– il ricorrente ha la disponibilità degli immobili senza alcun apparente valido titolo;
– il ricorrente ha esercitato alcuna senza soluzione di continuità il possesso dell’appartamento, del quale era proprietario, nonostante la modificazione della titolarità giuridica di esso a seguito della vendita alla società CPM S.r.l.;
– il ricorrente ha mantenuto la residenza nell’appartamento;
– non risulta provato il pagamento del prezzo dell’immobile perché, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, come si desume dalle argomentazioni svolte dalla società CPM S.r.l., il saldo prezzo sarebbe stato di fatto “scomputato” a compensazione del mancato pagamento della occupazione dell’appartamento da parte del ricorrente, occupazione avvenuta in assenza di qualunque valido titolo giustificativo, elementi questi da cui è stata dedotta la effettiva disponibilità del bene in capo al ricorrente;
– il ricorrente appare formalmente privo di redditi pur avendo movimentato per contanti e assegni sul proprio conto la complessiva somma di Euro 1.142.631;
– il ricorrente risulta titolare di fatto dell’immobile e dell’annesso box, anch’esso intestato alla medesima società e occupato dal veicolo nella disponibilità del ricorrente, veicolo pure oggetto di confisca, tanto che ha ivi mantenuto la residenza propria e della famiglia;
– il patente contrasto tra le versioni del ricorrente, che afferma di avere ricevuto il saldo in contanti in varie rate, e della società, che afferma (si veda verbale udienza) che il saldo non è stato corrisposto perché trattenuto a “scomputo” della “locazione”, dimostrano che il bene è nella completa disponibilità del ricorrente.
2.3.3. Tanto premesso, con riferimento a quanto si è visto al paragrafo n. 1.2.3., è corretta l’argomentazione difensiva che evidenzia la notevole distanza tra la data di acquisto dell’appartamento in via Chopin, avvenuto nel 1985, e la data del reato (rectius: della sentenza di condanna passata in giudicato).
In proposito manca qualsiasi attività di ricostruzione della capacità patrimoniale, riferita alla data di acquisito, che consenta di affermare l’inesistenza di adeguati redditi o patrimoni.
Tale lacuna andrà colmata in sede di rinvio, con adeguata estensione degli accertamenti patrimoniali, restando fortemente indiziato di simulazione il trasferimento del bene effettuato a favore della CPM S.r.l. nel 2002, con contestuale rientro dello stesso nella disponibilità del ricorrente.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al GIP del Tribunale di Milano.