Cass., sez. VI civ. – L, 29 gennaio 2016 (ord), n. 1799 (testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 20394/2014 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARLA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MARITATO LELIO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
e contro
M.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 456/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del 17/04/2014, depositata il 16/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato Emanuele De Rose (delega verbale) difensore del ricorrente che si riporta agli scritti.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Atteso che:
– con sentenza del 28.10.2009, il Tribunale di Catania aveva dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione proposta da M.A. avverso l’intimazione di pagamento relativa a cartella esattoriale notificata al predetto il 31.8.2001 per omesso pagamento di contributi della gestione commercianti con riguardo agli anni 1993,1995, 1996 e 1998, rilevatane la tardività in quanto proposta oltre il termine di 40 gg. dalla notifica di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24;
– la Corte di appello di Catania, su gravame del M., riformava tale decisione, sul rilievo che l’opposizione integrava un opposizione al titolo esecutivo ai sensi dell’art. 615 c.p.c., facendosi con essa valere un atto estintivo successivo alla notifica del titolo, ed osservava che l’intimazione di pagamento era stata notificata in data 27.5.2008, quando il credito contributivo vantato dall’INPS era prescritto per essere decorso un quinquennio dalla notifica della cartella esattoriale, senza che fosse intervenuto alcun atto interruttivo da parte del concessionario della riscossione; in particolare osservava che la cartella esattoriale non opposta non aveva attitudine ad acquistare efficacia di giudicato e che, pertanto, al di là dell’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, non poteva trovare applicazione l’art. 2953 c.c., ai fini della operatività di un più lungo termine di prescrizione;
– l’Inps, in proprio e quale mandataria della SCCI s.p.a., ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidando l’impugnazione ad unico motivo ed il M. e la Serit Sicilia s.p.a. sono rimasti intimati;
– sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio;
– con il motivo di ricorso si sostiene che, essendo pacifica la circostanza della mancata opposizione nei termini avverso la cartella esattoriale, con conseguente intangibilità della pretesa contributiva, non possa considerarsi più soggetto a prescrizione il diritto alla contribuzione previdenziale, atteso che la prescrizione riguarda soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo definitivamente formatosi, rispetto alla quale, in sostanziale conformità a quanto previsto per l’actio iudicati ai sensi dell’art. 1953 c.c., trova applicazione il termine prescrizionale decennale ordinario, termine non ancora decorso alla data del 27.5.2008 in cui era stata effettuata la notifica dell’intimazione di pagamento;
rilevato che:
– nella disciplina della riscossione mediante iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, il termine per proporre opposizione alla pretesa contributiva, che dall’art. 24, dello stesso decreto è fissato in quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, deve ritenersi perentorio, perchè diretto a rendere non più contestabile dal debitore il credito contributivo dell’ente previdenziale in caso di omessa tempestiva impugnazione ed a consentire cosi una rapida riscossione del credito medesimo (cfr, Cass. 24.2.2014 n. 4338 che richiama Cass. 14692/2007; 17978/2008; 2835/2009; 8931/2011);
– a ciò consegue l’intangibilità della pretesa contributiva per effetto della mancata proposizione dell’opposizione alla cartella esattoriale (come avvenuto nel caso di specie);
– con sentenza 24.2.2014, n. 4338 (che, invero, non si è pronunciata espressamente sulla prescrizione, ma che vi fa riferimento in motivazione, pronunzia seguita dalla successiva conforme di Cass., Sez. Lav., 8 giugno 2015, n. 11749), questa Corte ha affermato che “una volta divenuta intangibile la pretesa contributiva per effetto della mancata proposizione dell’opposizione alla cartella esattoriale (come avvenuto nel caso di specie), non è più soggetto ad estinzione per prescrizione il diritto alla contribuzione previdenziale di che trattasi e ciò che può prescriversi è soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo così definitivamente formatosi, riguardo alla quale, in difetto di diverse disposizioni (e in sostanziale conformità a quanto previsto per l’actio iudicati ai sensi dell’art. 2953 c.c.), trova applicazione il termine prescrizionale decennale ordinario di cui all’art. 2946 c.c. (cfr, per arg., Cass., n. 17051/2004, in motivazione)”:
– con riguardo alla operatività della prescrizione decennale per effetto dell’actio iudicati, Cass. Sez. Un. n. 25790 del 10/12/2009 (così anche Cass. 19.7.2013 n. 17669), ha sostenuto che “Il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta actio iudicati, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 20, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario”, a tale principio uniformandosi Cass., Sez. 5, 11 marzo 2011 n. 5837 (in termini analoghi già Cass. n. 6077 del 2010), secondo cui: “Il diritto alla riscossione di un’imposta, conseguente ad avviso di liquidazione divenuto definitivo, perchè confermato con sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza e prescrizione che scandiscono i tempi dell’azione amministrativo-tributaria, ma esclusivamente al termine di prescrizione generale previsto dall’art. 2953 c.c., in quanto il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l’atto amministrativo, ma la sentenza”, nonchè Cass., sez. 5^, 13.7.2012 n. 1194, secondo cui “per i diritti di credito dell’amministrazione finanziaria relativi a tributi e sanzioni amministrative tributarie, la disciplina dell’actio iudicati dettata dall’art. 2953 cod. civ., secondo cui i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni” e Cass., Sez. 5, 5 aprile 2013, n. 8380, secondo cui “In tema di imposta di registro, qualora la pretesa erariale si fondi su di una sentenza passata in giudicato, la relativa cartella esattoriale, avendo ad oggetto un credito definitivamente accertato a seguito di contenzioso e come tale avente titolo nella sentenza, va emessa entro il termine decennale di prescrizione previsto dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 78, non trovando applicazione, nell’ipotesi, nè il termine triennale di decadenza di cui all’art. 76, del medesimo D.P.R., che concerne, invece, l’esercizio del potere di imposizione, nè il termine annuale di decadenza sancito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, lett. c), (rilevante pro tempore), che attiene alle somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio divenuti definitivi per mancata impugnazione dell’atto impositivo che li contiene”;
– secondo quanto sancito dalla Suprema Corte in tema di ingiunzioni fiscali, “l’ingiunzione fiscale, in quanto espressione del potere di autoaccertamento e di autotutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che cumula in sè le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, ma è priva di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato: la decorrenza del termine per l’opposizione, infatti, pur determinando la decadenza dall’impugnazione, non produce effetti di ordine processuale, ma solo l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito (qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato), con la conseguente inapplicabilità dell’art. 2953 c.c., ai fini della prescrizione” (v.
Cass., Sez. 5, 25 maggio 2007, n. 12263) e negli stessi termini si è pronunciata anche Cass. 6.7.2012 n. 11380, affermando che “una volta divenuto definitivo l’atto di accertamento (ed esaurito quindi l’esercizio del potere impositivo a fronte del quale sta il diritto del contribuente alla determinazione di una imposta “giusta” ex art. 53 Cost.), la pretesa vantata dalla Amministrazione finanziaria si cristallizza nel diritto soggettivo di credito, il cui esercizio (corrispondente ora al potere di riscossione a fronte del quale sussiste soltanto la esigenza che le modalità di esecuzione coattiva non si traducano in una un’inammissibile vessazione del contribuente) rimane assoggettato, in assenza di diversa specifica previsione normativa, all’ordinario termine di prescrizione dei diritti ex art. 2934 c.c. e ss.;
ritenuto che:
– l’art. 2953 c.c. – che è norma speciale – non può applicarsi in via analogica ad altre fattispecie diverse dalla sentenza, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 12 preleggi (Cass. Civ., 29 gennaio 1968, n. 285) e che nel caso di cartella di pagamento non opposta non vi è nessun titolo di formazione giudiziale dotato di autonomia, non potendo la “stabilità” della cartella non opposta nei 40 giorni equipararsi ad un giudicato, in quanto il consolidamento consegue alla mancata opposizione;
– a mente dell’art. 2946 c.c., la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale, se la legge non dispone diversamente, e nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente (L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 cit.);
– applicandosi il termine decennale di cui all’art. 2953 c.c., si perverrebbe alla conclusione di consentire all’ente previdenziale di riscuotere contributi prescritti, in violazione del divieto stabilito, per ragioni di ordine pubblico, dal R.D.L. 14 ottobre 1935, n. 1827, art. 55, comma 1, di effettuare versamenti a regolarizzazione di contributi assicurativi, dopo che rispetto agli stessi sia intervenuta la prescrizione, divieto che opera indipendentemente dall’eccezione di prescrizione da parte dell’ente previdenziale e del debitore dei contributi (norma rispetto alla quale la stessa Suprema Corte ha ritenuto “manifestamente infondata la questione di costituzionalità della norma citata e della L. 3 aprile 1969, n. 153, art. 41, nella parte in cui prevedono la prescrittibilità del diritto dell’I.N.P.S. al pagamento dei contributi, per violazione dell’art. 38 Cost., sia perchè tale disciplina risponde ad un principio generale di certezza dei rapporti giuridici, sia perchè, a fronte della prescrizione e del conseguente divieto di pagamento dei contributi, è prevista la possibilità di costituzione della rendita” – così Cass., Sez. Lav., 5 ottobre 1998, n. 9865 -);
– ricorrono le condizioni per la rimessione degli atti al Primo Presidente, affinchè valuti l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle Sezioni unite, atteso che la suddetta questione – oltre a rendere necessaria una armonizzazione tra le pronunce delle diverse sezioni nei termini sopra evidenziati, può qualificarsi – per il cospicuo contenzioso in corso -, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, “di particolare importanza”.
P.Q.M.
Dispone la trasmissione della causa al Primo Presidente, per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2016